Introduzione di Ivano Asperti 12 Novembre 2021 – Posted in: BOOKS, WINE

L’esperienza, corredata da letture e testimonianze del passato, può far crescere quel senso critico utile a comprendere meglio il presente e il mondo nel quale si vive. Chi si reputa esperto in un ambito ha una responsabilità nel trasferire a chi meno sa, quello che è il suo accrescimento di conoscenze, oltre a far capire la genesi di ciò di cui si fa portavoce. È così che associato alla parola ed alla scrittura, l’immagine diventa forza propulsiva trainante.

Per tantissimi anni però le uniche immagini che potevano esser tramandate erano disegni o raffigurazioni dell’interpretazione di colui che coglieva l’essenza del soggetto di cui voleva parlare. Con la fotografia e poi con le immagini cinematografiche siamo arrivati ad un racconto, che univa tutte le tecniche del passato. Oggi l’immagine è spesso più forte e permeante rispetto alla parola, ma il giusto connubio rende indelebile taluni racconti.

Fu così che nel 1957 il Viaggio nella Valle di Po – alla ricerca dei cibi genuini di Mario Soldati, inaugurò il primo vero reportage enogastronomico del Paese. Erano i primi anni della televisione nazionale, così questo modo di raccontante territori e persone, rendeva immediata, spontanea e diretta la conoscenza. Quella serie fu considerata un documento d’importanza antropologica. Mario Soldati, protagonista di Vino al Vino, diventò un appassionato interprete dell’identità italiana, che con il pretesto del cibo e del vino, anche lui ha contribuito a suo modo a far conoscere l’Italia agli italiani. Ad ispirarsi a questo modo di narrare, si può sicuramente annoverare anche Luigi “Gino” Veronelli, che quando approda in televisione, già conosciuto e noto, accresce la sua fama e considerazione. Prima con A tavola alle 7 poi nel 1979 con il suo storico Viaggio Sentimentale nell’Italia dei Vini; è qui che realizza l’aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viticoltura italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel mondo. Da quel momento in poi il tema del cibo e del vino in particolare, iniziano a raccogliere attenzioni e considerazioni, oltre a portare in evidenza il reale stato delle cose. Si inizia ad intravedere come anche per questi beni primari sino a quegli anni, il boom economico post anni ’60, stava iniziando a mostrare tutti i suoi effetti.

Nasce e cresce una consapevolezza, che sarà ben lunga a penetrare nel tessuto sociale, ma rimarrà indelebile per tutti coloro che hanno capito e intuito l’importanza della terra e della storia. È così che per il cibo non si guarda dal basso verso l’alto la cucina francese, così come per i vini, si cerca di colmare quel divario di secoli, che si era consolidato.

Consapevolezza e incredibile diversità, che nella nostra penisola è un “unicum” forse al mondo, è il motivo di una crescita qualitativa. La consapevolezza di avere una cultura e biodiversità incredibile. Seppur affascinati nel continuare a seguire la scia transalpina, molte regioni italiane

si trovano ad interpretare e proporre ciò che il territorio offre, magari da sempre, come le leggende o tradizioni orali avevano riportato. È così che accanto ai vitigni internazionali iniziano ad affacciarsi i nomi di alcune varietà propriamente locali. Inizialmente sdoganati i piemontesi Nebbiolo, Dolcetto e Barbera; a cui si accoda il toscano Sangiovese. Barolo, Barbaresco, Moscato e Chianti sono tra i primi vini italiani a varcare stabilmente e con buoni risultati i confini nazionali. Negli anni migliorano qualitativamente ed ottengono quel riscontro internazionale, che li porta ad essere baluardo nazionale. Da quei momenti in poi si innesca una scalata, ancor oggi in ascesa, per i vini nazionali. È assai apprezzata l’enorme differenza tra i vitigni e le tecniche usate: una varietà e tipicità unica, che spesso associata al territorio ove vengono prodotti, diventano un connubio unico ed irripetibile.

C’è da intendersi sul significato di “origini”: inizi o cause? Oggigiorno intendiamo le origini come un cominciamento che spiega, piuttosto, che è sufficiente a spiegare. Così c’è il pericolo di confondere una filiazione con una spiegazione. Le origini in realtà non spiegano nulla, perché un seme è necessario a dar vita ad una pianta, ma non sufficiente a generarne una radice e, su questa, una pianta. Quindi le origini non possono essere una causa, ma un seme che può diventare una pianta, a condizione di incontrare un ambiente favorevole. Quindi un termine chiave è appunto incontrare. Le radici non sono ciò che eravamo bensì gli incontri, gli scambi, gli incroci che hanno trasformato ciò che eravamo in ciò che siamo: l’identità è ciò che siamo. Più si va a fondo nella ricerca delle origini, più le radici si allargano e si allontanano da noi.

È appunto l’enorme varietà nazionale, che forse oggi lascia un leggero disorientamento per alcuni, che mi ha portato a valutare e capire quale fosse realmente il patrimonio enoico nazionale. Cercare così le origini di ciò che siamo sarà un modo per incontrare gli altri.
Effettuare un vero giro d’Italia alla scoperta di ogni varietà sarebbe realmente un’impresa esageratamente ardua. Ho voluto così definire delle linee guida, che dessero la percezione reale di quale sia il panorama ampelografico riconosciuto, che viene tradotto in vino. Dipendentemente dalle annate, sappiamo di essere tra il primo e secondo posto per la quantità di vino prodotta al mondo. Così mi sono chiesto quanti fossero i vitigni di cui possiamo vantare la produzione, poiché anche per questo aspetto primeggiamo.

Troppe notizie e non sempre confermate, così ho voluto prendere come unico ed incontrovertibile riferimento ufficiale il Registro Nazionale delle Varietà di Vite (RNVV), istituito nel 1969 (dpr 24/12/1969 n. 1164). Il Registro è da allora affidato all’Istituto Sperimentale per la Viticoltura, ora Centro di Ricerca per la Viticoltura del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (Cra-Vit). Il Registro riunisce in un unico luogo, riprese da molte fonti differenti, sia le informazioni obbligatorie relative alle caratteristiche morfologiche e fisiologiche, che consentono di distinguere fra di loro le varietà, sia quelle di carattere amministrativo. Vengono anche rese disponibili ulteriori informazioni sul settore vitivinicolo: dati relativi alla classificazione delle varietà di viti, loro utilizzo nelle DO (Denominazioni d’Origine) e IG (Indicazioni Geografiche), schede descrittive sintetiche dei cloni e dati statistici sulla produzione di barbatelle.

L’istituzione del Registro deriva dalla Direttiva Comunitaria 68/193/CEE del 1968, che stabilì che ogni Stato membro istituisse un Registro delle varietà di viti ammesse ufficialmente alla certificazione, nonché un sistema di controllo dei materiali di moltiplicazione standard nel proprio territorio per poter fornire al viticoltore piante di accertata identità varietale, elemento fondamentale per la moderna viticoltura ed enologia.

Quindi basandosi sui questi dati, si può dire che ad agosto 2020 sono complessivamente 589 le varietà di uve da vino riconosciute, di cui 21 neo aggiunte a giugno 2020, 76 ancora non classificate, 17 varietà che sono solo in osservazione ed i 18 vitigni PIWI, che si stanno inserendo. Visto il notevole numero di vitigni, ho voluto dedicare ricerca e approfondimento sui quei vitigni che sono antichi, rari, poco diffusi e specifici del territorio.

Si è così fatto riferimento all’ultimo censimento ISTAT effettuato, nel 2010, per verificare la reale superficie vitata di ogni varietà, in modo da determinarne l’incidenza e rilevanza.
È pur vero che in un decennio le cose possono essere un po’ cambiate per alcuni vitigni, ma sostanzialmente le linee guida hanno dato una chiara indicazione. È così che tra 0 e 10 ettari vitati si sono rintracciati 74 vitigni; tra 11 e 50 ettari 80 vitigni; tra 51 e 100 ettari 45; tra 101 e 200 ettari 33 vitigni e maggiori di 200 ettari 29 varietà. Questa fotografia mostra l’enorme varietà che abbiamo sul territorio, però la curiosità che ho voluto approfondire è stata quella di vedere e capire con quale valenza ogni varietà mostra la sua essenza. Ci sono vitigni che sono addirittura chiamati “reliquia”, ossia rarissimi a trovarsi e ancor di più ad esser vinificati. Altri esistono solo ed esclusivamente perché maritati ad altre varietà o per concorrere all’assemblaggio di storici vini, che venivano, ed ancor oggi continuano ad essere, prodotti nello stesso antico modo. Ed ancora quei vitigni che sono baluardo di un territorio e magari non escono da quelle zone, diventando piccola gemma e vanto locale, non sempre con enorme pregio, bensì come valenza storico-culturale.

È così stato un lungo lavoro di ricerca e scoperta, che vuol essere un passo guardando e analizzando il passato, per comprendere come si sta sviluppando il presente enologico e come ci si può porre verso il futuro. Non è iscrivendo sempre più vitigni che si otterrà una legittimazione alla qualità; stanno anche emergendo nuovi vitigni, sia per i lunghi studi, sia per le prove agronomiche, che stanno facendo valutare miglior adattamento e resistenza, come ad esempio i vitigni PIWI: se ne farà accenno con il loro impiego, ma che volutamente non si è voluto ampiamente trattare.

Ci sono poi quei vitigni che svariati anni fa sono stati iscritti con un nome, pensando fossero unici, invece con le recenti analisi si sono scoperte sinonimie, che li fanno risultare identici ad altri vitigni, già registrati con differente e diverso codice identificativo. È da sottolineare come oggi le analisi genetiche del DNA possano fugare ogni dubbio, ristabilendo una riorganizzazione che reputo doverosa e necessaria.

È assai recente la notizia della conferma della ratifica in merito all’avvio di un nuovo censimento nazionale, così che tra qualche anno avremo un auspicato aggiornamento. […]

Ivano Asperti
Introduzione al libro VITIGNI, VINI RARI E ANTICHI.