I miracoli della perpetua di Andrea Vitali – introduzione 18 Ottobre 2016 – Posted in: ART, BOOKS

Giancarlo VitaliPICCOLI UOMINI CRESCONO
Introduzione di Leonardo Castellucci al 17° titolo della collana iVitali: I miracoli della perpetua

Un po’ racconto di formazione, un po’ racconto psicologico questa ultima fatica letteraria di Andrea Vitali. Ma anche un esito da ricondurre alla diaristica, dove non si vuole raccontare cronologicamente una storia, semmai ricordare momenti che hanno lasciato un’impronta nel sentire di chi scrive.
Il plot è giocato tutto su un espediente narrativo divertito e divertente che permette a Vitali una sarcastica eppure affettuosa carrellata fisiognomica di un gruppo di suoi coetanei, quelli che giocavano a pallone con lui, relegandolo in porta per poco riconosciute qualità tecniche pallalpiede, se non addirittura nel ruolo, ancor meno gradito ma, col senno di poi, quasi profetico, di massaggiatore e spugnatore di compagni infortunati. Una sorta di primissima palestra per la sua futura professione di medico.
Sarcastica e affettuosa, dicevamo, perché lo scrittore non calca la mano, non si addentra nel descrivere i dettagli di un volto dalla non felice genetica ma va al sodo, tirando fuori da ognuno l’aspetto più vistoso, evidente, ridicolo e bollandolo con epiteti o soprannomi che lo accomunano a un animale. E la disamina non risparmia neppure l’altra parte del mondo quando, in una sorta di decontestualizzata riflessione, passa in rassegna anche alcune vistose e consuete imperfezioni del genere femminile come quelle orecchie a sventola, quei nasi a piscia in bocca, quegli occhi a palla, quei colli troppo lunghi e flessi, quelle caviglie che sono un tutt’uno con le gambe. Una carrellata ‘difettata’ che ritroviamo sovente nelle umane sembianze del globo. Ma si parla, in ultima analisi, soprattutto d’impaccio giovanile e d’insicurezza nei rapporti fra maschi e maschi, fra maschi e femmine, fra femmine e femmine in quel tempo così difficile che definiamo adolescenza.

Per questo racconto la matita e il pennello di Giancarlo Vitali scelgono la strada, tecnicamente abilissima, di una raffigurazione svelta e semplificata nelle forme e di fresco effetto figurativo e cromatico, rappresentando un bestiario, che soprattutto in certi virtuosi passaggi, pare originare da un’unica linea che subito s’inarca, si torce, si piega, sale, scende, stonda, spigola, si chiude. Come nel caso di due bovini in forzatura prospettica o in quello di due gufi che escono dal buio solo grazie ai bianchi riverberi lunari o in quello di un grande bassotto con quel corpo sproporzionatamente lungo e rigido e quella testa alta e immobile, in vanitosa proiezione di sé.
Sì, con un bestiario, dicevamo. Perché l’idea dell’artista è stata quella di condensare ‘l’essenza significante’ della storia, non indugiando sulla somiglianza ma traducendo simpaticamente questa sorta di metamorfosi, presentandoci animali fatti e finiti che forse, in un percorso a ritroso, potrebbero assumere di nuovo sembianze del tutto umane.
Ma ci sono anche tavole diverse, più disegnate, più dettagliate, più espressionistiche e pittoriche. Su tutte quella, bellissima, di un caprio, raffigurato in vetta a un’accennata ma percepibile asperità, immersa in un giallo acido e senza vegetazione. Un caprio dal corpo spolpato da un’esistenza faticosa e scarsa di cibo e di riposo, che si regge, solido, su uno scheletro grosso e compassato. Lassù, quasi sempre da solo, quasi sempre in avanscoperta, nella sua orgogliosa solitudine di capo branco, colto mentre richiama il resto del gruppo con quel suo imperioso richiamo, che del belato pare un parente assai lontano e che si espande, con imperativa ferocia, per tutta la valle.
In questa festa di animali l’artista connota, con azzeccata scelta, il suo racconto figurativo con tre ‘intromissioni’ umane che cadono in momenti chiave. Proprio in principio il volto scanzonato di un ragazzino pare riferirsi all’io narrante e dunque potrebbe rimandare a un ritratto inventato dello stesso Andrea. Poco dopo, quando lo scrittore si sofferma, con la sua solita, divertita misoginia, sulla descrizione dei difetti fisici del mondo femminile, cade un significativo profilo di giovane donna che pare impisserita da una scarsa frequentazione con gli umori dell’amore, poi, sul finire del racconto, spunta la perpetua, impronta quasi evanescente e bellissima di una delle sue Dame dei gatti. Spunta per andarsene lontano col suo gatto in spalla.

 

 

 

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