Vitto Pitagorico 18 Dicembre 2019 – Posted in: ART

Ovvero un cerchio, diviso in triangoli, inscritto in un quadrato.

Una rilevante premessa. 
Il breve testo qui redatto va letto con la consapevolezza che chi scrive affronta questo argomento culinario – nello specifico la pizza – accompagnato da una duplice e sostanziale complicazione di fondo. La prima problematica risulta riscontrabile nell’essere affetto dall’oramai nota intolleranza al glutine, meglio conosciuta come celiachia. Svantaggio considerevole nel parlare di pizza, apoteosi per eccellenza del delizioso e basilare complesso proteico che definisce il glutine. La seconda questione – probabilmente ancora più determinante della personale dieta priva di gusto – si rispecchia nelle  radici familiari: sono napoletano. Scrivere della pietanza emblematica di Napoli comporta, infatti, un sobrio timore reverenziale verso una cultura che affonda le sue radici in una dogmatica, quasi religiosa, adorazione del piatto che può essere definito, a tutti gli effetti, deus ex machina delle fortune gastronomiche partenopee.

Armonica idealità.
pizza. Una pietanza capace di adattare la sua inflessibile regola costitutiva ad un ampio orizzonte di rapporti in perpetuo equilibrio. Così come la concinnitas albertiana, anche la pizza include quella naturale possibilità interpretativa, capace di adattare la sua inflessibile regola costitutiva ad un ampio orizzonte di inconsueti, ma armoniosi, rapporti. I suoi semplici e ponderati ingredienti collaborano al fine di una proporzionata relazione, di forma, di sostanza e soprattutto di gusto, raggiungendo quella concinnitas culinaria che idealizza l’essenzialità di questo piatto. Una rivelazione del gusto, misurata ma decisa, che viene disvelata attraverso l’indole creativa – escludendo eventuali sperimentazioni esotiche – di coloro i quali sono chiamati a confrontarsi con questa semplice, ma potenzialmente illimitata, tela artistica e pittorica commestibile. 

La quadratura del cerchio.
cerchio. Partendo dall’assunto che, in geometria, il cerchio è la superficie piana racchiusa in una circonferenza, si descrivono le tre principali figure che ne caratterizzano le regole costruttive, ovvero il diametro, il raggio e, appunto, la circonferenza, per comprovarne il valore concreto al mero fine degustativo. In prima istanza, il segmento definito come diametro può essere interpretato come quello spontaneo gesto in grado di piegare tale figura in due parti uguali. Le possibilità di assaporare la pizza, tramite questo lineare atto di divisione può riscontrarsi nella sbrigativa pizza a portafoglio o a libretto. Il tipico procedimento di degustazione di strada prevede di chiudere la pizza, piegandola sulla linea di diametro, in due parti simmetriche, celando al suo interno il rovente e gustoso epilogo degustativo. Una pratica largamente diffusa che comporta una serie di rischi – tra cui ustioni, caduta di condimenti vari e imbrattamenti – tale da essere utilizzata in momenti di concitato e sollecito appetito. All’interno di questa innata gestualità di con-divisione, possiamo individuare, inoltre, il suo conseguente approccio: l’utilizzo del raggio. Determinato dalla simmetrica partizione del diametro, questo segmento apre ad un più classico o conviviale consumo della pizza. Omettendo le regole del galateo, il raggio permette la divisione del celeberrimo piatto in una potenzialmente illimitata, serie di spicchi, semplificando tecnicamente il consumo a mano del pasto. Non solo. L’utilizzo del raggio rende possibile, tanto, l’agevolazione del mangiare con le mani, quanto, la condivisione dello spicchio, diviso in parti più o meno uguali, svelando quell’intima essenza di partecipazione collettiva che elegge la pizza a vero e proprio medium di comunità. In conclusione, per quanto riguarda la circonferenza, vige la volontà non tanto di analizzare, quanto di rammentare coloro i quali ne disdegnino il principio. Qui intesa come il cornicione, questo essenziale elemento si propone come quella soglia democratica equidistante dal centro, custode delle possibilità culinarie protette al suo interno e strumento prensile del rituale dell’assaporare, tanto privato quanto collettivo. Un vero e proprio fondamento dell’arte della pizza che, senza presunzione, svolge il suo marginale, ma allo stesso tempo fondamentale, compito nella più sobria maniera possibile. In sostanza, la pizza si mangia tutta. 

Al sapore di contemporaneo.
George Kenneth Scott. La pizza qui si propone come tramite per sancire l’autenticità, comunque immersa nella propria contemporaneità, di un artista in grado di leggere le questioni del suo tempo e interpretarle con sarcasmo ed ironia. Una contemporaneità non intesa, tuttavia, alla stregua della sincronia con il proprio tempo, bensì come la capacità di relazione a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo, un sagace inganno delle temporali e geometriche costrizioni dell’ordinario. Con le sue quindici pizze, George Kenneth Scott non solo è riuscito a vedere la sua epoca, ma, addirittura, l’ha persino assaggiata. 

Lorenzo Giordano
catalogo della mostra George Kenneth Scott “Eats&Drinks&Pizza”