La Stampa | Quei vini del professor Miglio 29 Giugno 2017 – Posted in: BOOKS

leo miglioIl professor Miglio, negli Anni Ottanta, volle discutere – caso insolito – la mia tesi sul mercato del vino in Italia frutto di tre indagini campionarie. Era il 1985, laurea in Scienze politiche alla Cattolica di Milano, di cui Miglio era preside. Fu lì che scoprii la sua indomita passione per il vino, con vigne di proprietà a Domaso, nell’alto Lario. Quando diventai giornalista e Miglio era in pensione, fui il primo ad intervistarlo sull’avventura politica che stava per iniziare, fino a diventare senatore. E bevemmo il suo Bianco da uve verdese e il suo Rosso, il Domasino da uve varie. Oggi sono tornato a Domaso, sulla sponda del lago che guarda il monte Legnone, per l’uscita del libro «La Civiltà del vino sul lago di Como», scritto dal figlio Leo Miglio, che è docente di Fisica della materia alla Bicocca. Ma quando il padre andò a Roma, lui si prese cura, in maniera più scientifica, della vigna e della cantina, tanto che nel 2006 rimasi sorpreso dal cambiamento di marcia dei vini. Oggi una terza svolta, perché la cantina è curata a tempo pieno da Emanuele Angelinetta, un ragazzo di 37 anni che fa 5 vini per 20 mila bottiglie. Ora, il vino che mi ha riconquistato è stato il Verdese Igt Terre Lariane La moglie del Re 2016, al 100% da questo vitigno autoctono delle terre lariane. Ha colore giallo paglierino e profumi floreali abbastanza intensi. In bocca lo senti equilibrato grazie alla poca acidità del vitigno che invece mostra una caratteristica sapidità. È il vino perfetto con gli agoni del lago, ma è un suadente aperitivo, che ti porta a finire la bottiglia, proprio come accadde in quell’intervista di 30 anni fa al Profesur. L’altro bianco, le Calderine, è un uvaggio di sauvignon, riesling renano e verdese, dove la prima uva soccombe alla freschezza del riesling. Un vino che ha le spalle larghe è il Rosato Roselario, sorprendente per il suo genere, mentre i due rossi, il Cà del Mot da uve marzemino e merlot ha la fragranza dei piccoli frutti e un finale amarognolo molto gradevole. È invece una promessa il Pietrerose 2015 in parte da uve merlot surmature, che offre la stoffa dei grandi rossi, che migliorano col tempo. Questa è una rinascita: la storia torna d’attualità.

Acquista il libro.