Dato il mortal sospiro | Quantunque Balbiani 23 Giugno 2017 – Posted in: BOOKS

Per capirlo, basta assaggiarne qualche pagina: fra gli scrittori italiani di oggi Andrea Vitali è il più sornione. Ora ti accorgi che sorride dietro le quinte, mentre in scena le sue marionette bisticciano, ora lo vedi comparire all’improvviso per fulminarle con un aggettivo, ora ne gusti i ragguagli imperturbabili su vicende spassose. È una maniera che ha sedotto milioni di lettori, asciutta e saporita come i missoltini che si pescano dalle sue parti.
Questo libro, diciamolo subito, non fa eccezione. Vitali è sornione come al solito. Stavolta però sceglie un’altra strada e un altro stile, in vista di un incontro inevitabile non solo per urgenze geografiche, ma anche in omaggio allo stuolo di perpetue, sacerdoti pasticcioni, azzeccagarbugli, avanzi d’osteria, giovanotti impulsivi, malvagi di mezza tacca arruolati nei suoi romanzi. Per appropinquarsi a Manzoni sceglie dunque di imitarlo e travestirsi da «umile servo» alle prese con un’opera da riscrivere. Ma se il manoscritto «dilavato e graffiato» dell’Anonimo secentesco che aveva raccolto la storia di Renzo e Lucia è un’invenzione, qui il libro esiste eccome, e si deve a un altro bellanese, quell’Antonio Balbiani autore di un volume su Alessandro Manzoni e i suoi scritti, ma anche di un corposo manuale pratico – Il vero tesoro delle campagne, ossia I segreti più preziosi dell’agricoltura – che l’autore dei Promessi Sposi, grande appassionato di botanica, avrebbe certo sfogliato con curiosità.
Vitali imbastisce un gustoso gioco metaletterario, ripercorrendo il Balbiani manzonista con devota ironia. Alla finta severità di don Lisander, che qualifica l’Anonimo come dozzinale sguaiato goffo scorretto rozzo affettato pedestre, sostituisce un atteggiamento oscillante fra la riverenza e lo stupore, dinanzi al discorso condito di giudizi avventati, repentine invettive, ameni strafalcioni dal concittadino. Vitali non ne cancella tuttavia la voce, anzi riporta lunghi brani, che anatomizza col bisturi del suo primo mestiere. Chi legge scoprirà così quanti succhi si possano ricavare da un «quantunque», soave solo in apparenza («la madre, quantunque donna d’alti spiriti, pensò a metterlo in un collegio di frati»), o come il grottesco possa annidarsi in una frasetta maldestra: «Il cadavere giaceva su un letto di ferro, dipinto in rosso (s’intenda il letto, ndr)…». E ancora, si divertirà scorrendo la scarica di telegrammi che si abbatté su Milano alla notizia della dipartita di Manzoni, tutti puntualmente guarniti da Vitali con l’epiteto più opportuno.
«Caleotto fu il luogo», scrive spiritosamente l’«umile servo»: e galeotto fu Balbiani, favorendo l’appuntamento con Manzoni tramite quello che oggi si direbbe un instant book, precipitosamente buttato giù nel 1873 all’indomani della morte. Tanto tempestiva fu la comparsa del volume, che nella copia capitata nelle mani di Vitali figura come indirizzo dell’editore Enrico Politti la via del Giardino, o corsia del Giardino, che prese il nome di via Manzoni non appena questi fu imbalsamato, secondo modalità qui chiarite con perizia. A onor del vero il sommo milanese, che ebbe la ventura di campare quasi novant’anni, era stato monumentalizzato già in vita, come lascia capire la réclame di Politti che segnala la disponibilità nei propri locali di busti in rame, bronzo o scagliola. Chissà che fine fecero qualche anno più tardi, quando la tipografia venne sbaraccata. Al medesimo numero civico sorse nel Novecento il palazzo dell’Alemagna che allietò tante ore di Eugenio Montale, in arrivo dalla vicina via Bigli. Oggi si aggirerebbe spaesato in via Manzoni, scorgendo abiti di lusso nelle vetrine che ospitarono i suoi adorati marron glacé: «la forme d’une ville change plus vite, hélas! que le coeur d’un mortel…». Meglio tornare da Armani a Balbiani, che al 31 della corsia del Giardino aveva bussato dopo l’Unità, sbarcato a Milano col diploma di maestro elementare in tasca nella speranza di ottenere, se non la gloria, almeno il pane. Per Politti firmò nel 1865 un paio di libri scollacciati, almeno secondo i parametri di allora: Gli intrighi amorosi di uno studente e I misteri galanti di un barbiere a contatto delle madamine, oggi introvabili. Negli anni successivi la ditta Balbiani sfornò poesie, saggi, racconti, guide, articoli per giornali, con esiti modesti. Solo il romanzo Lasco, bandito della Valsassina gli valse nel 1871 una discreta fama, incoraggiandolo a usare le proprie terre come scenario narrativo. Dove volgersi, per trovare ispirazione? Che domande: al vegliardo di via Morone. Nacquero così I figli di Renzo Tramaglino e di Lucia Mondella e L’ultimo della famiglia Tramaglino. Balbiani però non si accontentò di trasformare in una saga i Promessi Sposi: scrisse anche La Vergine longobarda e I famosi untori della peste, seguito della Colonna infame. Divenne insomma uno di quei manzoniani «stenterelli» ridotti a tirare «quattro paghe per il lesso», come scrisse sprezzante in Davanti San Guido Giosue Carducci (il quale nella Canzone di Legnano, con uno svarione memorabile, avrebbe poi fatto tramontare il sole dietro il Resegone).
Tornato a Bellano, negli anni Ottanta Balbiani si gettò nel giornalismo, senza troppa fortuna. Per sbarcare il lunario le tentò tutte, salvo impiegarsi negli opifici della cittadina natale, che lui stesso definì la «Manchester del Lario», dove morì di un colpo apoplettico a poco più di cinquant’anni. Cosa può mai aggiungere l’umilissimo prefatore alla triste storia di Antonio B.? Chissà che dopo averlo riesumato come studioso, Andrea Vitali non si decida a farlo balzar fuori, armato di penna, da uno dei suoi romanzi. Quantunque…

Mauro Novelli
Introduzione a Dato il mortal sospiro.