La Provincia | I vini del Lario. Un libro di storia 14 Maggio 2017 – Posted in: BOOKS

Dagli antichi romani parte una preziosa tradizione enologica salvata nel ‘900 da Gianfranco Miglio e ora scritta dal figlio Leo.

larioIl volume “Civiltà del vino sul lago di Como – Origine, esperienze e prospettive”, di Leo Miglio, rappresenta un passaggio molto significativo nel percorso di rinascita dell’enologia lariana. Parlare di un ritorno allavita della produzione vinicola comasca non è facile retorica giornalistica, ma esprime il sollievo per lo scampato rischio d’estinzione di una pratica agricola di tradizione millenaria. La vite mette stabili radici attorno al lago di Como in età romana e difatti sono i cronisti latini i primi a descriverlo nella sua caratteristica cornice floristica, con oliveti e vigne a terrazze che salgono fino al margine dei boschi, avendo per sconcertante sfondo montagne a lungo innevate.
Questo è il Lario, un’enclave mediterranea, botanica e agricola, incastonata tra le Prealpi. Le fortune dei vini lariani sono state costanti per molti secoli grazie al favorevole sbocco sul mercato milanese.
Poi, tra Otto e Novecento, il declino, per una irrimediabile concomitanza di cause: la rivoluzione economica postunitaria, una globalizzazione ante litteram che ha abbattuto frontiere e spianato la strada a mezzi di trasporto forieri di vini d’altre latitudini; l’industria della seta, alla base della quale il gelso si poneva in diretta concorrenza con la vite; il turismo, che ha sottratto superfici e maestranza all’agricoltura; infine l’industrializzazione, che ha spopolato anche le campagne lariane, aggravando il fenomeno del frazionamento generazionale della proprietà fondiaria in una miriade di fazzoletti di terra buoni solo per una viticoltura d’autoconsumo.

Il senatore enologo

Grazie a Dio, in un quadro così fosco, qualcuno s’è preoccupato di tener viva la brace che ancora covava sotto la cenere della tradizione lariana: Gianfranco Miglio, che molti ricordano come il Senatore lombardo per antonomasia, pervia del suo prolungato impegno parlamentare, ma fin dagli anni Cinquanta illustre accademico nel campo delle Scienze Politiche in seno all’Università Cattolica di Milano. A lui si deve, nel 1959, la monumentale summa storico-letteraria, che ha riunito sotto il titolo “Larius” i molteplici aspetti della civiltà lariana, ivi compresa l’enologia È a questo multiforme intellettuale che si deve infatti il ripristino di un vigneto in alto Lago, a Pozzolo di Domaso, destinato a diventare la culla della rinnovata enologia lariana sotto l’egida di Mario Fregoni, vero luminare dell’enologia, anch’egli docente alla Cattolica in quel di Piacenza, che del volume firma la prefazione.
In questo podere sperimentale sono state impiantate da Leo Miglio una serie di uve d’ambito “retico”, termine che porta il discorso a spaziare dalla valle dell’Adda a quella dell’Adige, territorio sostanzialmente omogeneo intermini di clima, suolo e vocazione vinicola Facendo sintesi di trent’anni di prove agronomiche, quel che ne è uscita è la composizione varietale che nel 2008 ha trovato definizione nel disciplinare dell’indicazione Geografica Tipica (Igt) “Terre Lariane”: per i vini bianchi la Verdesa, l’uva più schiettamente autoctona del Lario, affiancata da uve acclimatate nel tempo come Sauvignon Bianco, Riesling Renano e Rieslig Italico; per i rossi, invece, Marzemino e Schiava, d’ascendenza atesina con Merlot, Pinot Nero e Rebo (incrocio fra Merlot e Terolgego) come aggiunte di più recente storia.
Questa, in estrema sintesi, è la parabola dell’enologia lariana presentata da Leo Miglio, autore di questo volume nel duplice ruolo, più unico che raro, di produttore vinicolo, erede di tanto padre, e di scienziato, docente di Fisica della Materia presso l’Università di Milano Bicocca (con l’imbarazzo di anteporre l’uno all’altro per i riconoscimenti colti in entrambi in campi). L’autore ha ereditato non solo la passione paterna per il vino, ma anche la metodicità nell’approccio storico alla ricostruzione dello scenario vinicolo lariano che viene proposto in esordio di volume. Seguono alcuni capitoli, dedicati all’ambiente, alla cura del vigneto e alle pratiche di cantina, nei quali risalta invece l’attitudine dello scienziato abituato ad addentrarsi nei labirinti della materia per coglierne futuri e rivoluzionari impieghi.

Tra passato e futuro

Poi il saggio diventa romanzo in chiave familiare di lettura godibilissima idealmente seduti alla tavola dei Miglio, padre e figlio, ricordando il ruolo della signora Miriam nell’approntarla con i piatti della tradizione lombarda. Qui lo scritto si fa più intimista e l’autore passa dai ricordi delle vendemmie condotte dal padre alle proprie convinzioni sul carattere lieve che dovrebbero avere i moderni vini lariani, in linea con la fama che avevano in passato, piuttosto che imboccare la strada dei calici impegnativi che certo mercato oggi impone ai produttori. Un capitolo, infine, viene dedicato alle costrizioni e alle prospettive dell’enologia lariana, per la quale tanto Fregoni, in esordio, quanto Miglio, nelle conclusioni, auspicano il riconoscimento della Doc, la Denominazione di origine controllata che permetterebbe di fare quel salto tecnologico e d’immagine necessario per portare a compimento la rinascita.
Delle aziende vinicole delle “Terre Lariane” l’autore cita le tre realtà che ritiene più significative: a Domaso, “Angelinetta”, il giovane che ha rilevato la gestione del vigneto Miglio, e “Sorsasso”, poco distante, legata alla figura di Daniele Travi, noto imprenditore locale; nel Lecchese, invece, “La Costa”, l’azienda brianzola più rappresentativa dell’enclave vinicola di Montevecchia.
In appendice, una divertente ripresa di una pubblicazione del 1954, redatta dal padre Gianfranco, con una summa delle lodi per i vini lariani, paese per paese, che riserva piacevoli sorpresa e offre ispirazione per ulteriori sviluppi di questa rinascita enologica.