Civiltà del vino sul lago di Como. L’introduzione dell’autore Leo Miglio 12 Aprile 2017 – Posted in: WINE

Questo libro, frutto di una esperienza “operativa” ventennale e dell’interesse di una vita, ha avuto davvero una lunga gestazione, dal 2004 fino ad oggi: un po’ perché il mio lavoro in università mi ha sempre concesso pochi momenti liberi, un po’ perché la sperimentazione vitivinicola è continuata, assorbendo tutto questo tempo in lavori di campagna e di cantina, accumulando però al tempo stesso quella conoscenza, che ora travaso volentieri nelle pagine a seguire. Poi, dal 2008, ho solo accompagnato “virtualmente” le sperimentazioni di Emanuele Angelinetta, che ha rilevato le mie attività in un simpatico rapporto di “adozione”, e che mira a un prodotto di alta qualità, non sempre in linea con i miei canoni, ma più adatto a un pubblico di giovani amatori. Tuttavia, gli altri impegni istituzionali si erano accumulati in modo incontrollato e solo quest’anno, rimettendo in fila le priorità della mia vita a causa di accadimenti personali, come solo alle soglie dei sessant’anni s’è indotti a fare, ho deciso che no, non avrei potuto lasciare sospeso questo antico e ulteriore progetto.
Il libro vuole essere una carrellata di esperienze e riflessioni sui vini delle terre lariane, sia di tipo tecnico che culturale, le quali si snodano dal vissuto personale, all’indagine storica, all’agronomia, all’enologia, alla gastronomia e infine alle questioni di economia del territorio. Questa trasversalità, che travalica l’approccio specialistico contemporaneo, come si è sviluppato dopo la metà dell’Ottocento, non è un solo una caratteristica del mio modo di pensare, che mio padre mi ha sapientemente insegnato, ma una precisa necessità del tema. C’è, infatti, qualcosa di magico e ancestrale nell’impegno che porta una buona bottiglia sulla tavola: in un’epoca segnata dalla segmentazione di filiera, anche nel settore alimentare, la produzione del vino mantiene ancora intatta quell’arcaica responsabilità globale del processo, che nessuno si sognerebbe più di assumere. Dall’approntamento del terreno e la cura della pianta novella nel vigneto, alla scelta della etichetta più suggestiva per il cliente, si snoda un lungo percorso di competenze, di cultura e di gusto.
È pur vero che agronomi, enotecnici ed esperti di marketing sono ormai aiuti indispensabili per qualsiasi vigneron del mondo, ma la responsabilità delle scelte è ancora tutta sua. Se poi si tratta di recuperare dei vini con forte connotazione territoriale – ma poco noti – come il caso di cui parliamo, il compito diventa ancora più complesso. Partendo dai documenti storici si deve anzitutto determinare la tipologia di viti e di vini più caratteristici, meglio se riferiti al periodo ottocentesco precedente alla distruzione dei vigneti ad opera della fillossera, un insetto ahimè importato dall’America. Poi si tratta di valutare quali di essi siano ancora presenti in loco, quali si siano spostati, cambiando parzialmente le caratteristiche. Qui è anche importante avere una idea precisa della composizione del terreno, della esposizione solare e del microclima, per fare le eventuali sostituzioni che meglio si adattino alle condizioni pedo-climatiche.
La cura della vigna richiede nozioni agronomiche raffinate, specie oggigiorno che la lotta chimica alle crittogame (le infezioni fungine, insomma) e agli insetti dannosi seleziona inevitabilmente ceppi sempre più resistenti, mentre il diritto alla salute e alla qualità del consumatore richiede pratiche il più possibile naturali. L’enotecnica ha fatto passi da gigante durante il secolo appena chiuso, passando da una produzione artigianale ad una sfrenata tecnologia negli anni Settanta-Ottanta, per poi ripiegare parzialmente sull’ausilio di pratiche antiche, come l’invecchiamento in botte, ad esempio, per sfruttarne il potere chiarificante e stabilizzante. Le nuove tecnologie vanno dosate oculatamente, con l’obiettivo di estrarre dall’uva quelle caratteristiche che stiano nel solco di una tradizione locale, che è anche gastronomica. Insomma, c’è una gran quantità di chimica raffinata e post-industriale da sapere. Le esigenze del consumatore, come detto, si sono sviluppate oltre le questioni di merito, sicché le mode governate da pubblicazioni e siti specializzati condizionano la pianificazione delle aziende agricole e le loro strategie di marketing. Se aggiungiamo i capricci di un clima, che pare ora soggetto alle instabilità come i mercati finanziari, e i conseguenti rischi quantitativi e qualitativi sul prodotto, appare chiaro che il nostro vitivinicoltore deve essere attrezzato come e meglio di qualunque imprenditore.
Infine, questo libro salda un debito nei confronti della mia terra, del mio lago e delle mie montagne, che sempre mi donano pace e riflessioni profonde: come quando passavo stupende giornate di febbraio, terse nell’aria con il profumo di fuochi lontani, a potare e legare solitario le viti del vigneto che contorna la mia casa di Pozzolo in Domaso. Chiude anche un debito nei confronti dei miei genitori, ora scomparsi, che molto credevano in questa dimensione “radicata” della vita e nelle mie capacità di portare a termine quello che loro avevano iniziato in modo spontaneo (e forse un po’ incosciente). Probabilmente è l’ultimo che mi rimane nei loro confronti.

Leo Miglio
Civiltà del vino sul lago di Como