Il buono, la brutta e il cattivo 7 Aprile 2015 – Posted in: BOOKS

Il contributo di Gianfranco Colombo al 14° titolo della collana iVitali: Il Banchetto del Medeghino.

Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino (1495-1555) è senza alcun dubbio un personaggio da romanzo. Seppe imporre il suo dominio tra Lecco e Musso, applicando alla lettera la teoria del terrore. Fece questo con sistematica scelleratezza, perché lui, il Medeghino, oltre ad essere audace e sfrontato, era soprattutto “bastardo dentro”. Gli episodi della sua malvagità non si contano e su tutti i commenti alla sua figura è interessante quello di Erycius Puteanus, che in un elogio del Medeghino scrive: “Ad alcuni non bastava affermare che non era grande, se non affermavano anche che era malvagio, come se potessero distruggerne più facilmente la gloria se ne avessero condannato i costumi”. Insomma, anche chi lo elogiava, non poteva fare a meno di accennare alla sua malvagità, che era tutt’altro che presunta.
E attenzione, Gian Giacomo Medici non era un bulletto del lago, che per pura fortuna e cattiveria assurse al potere. La sua era una famiglia di quelle che contavano, basti dire che Giovanni Angelo Medici (1499- 1565), fratello minore di Gian Giacomo, nel 1559 venne eletto Papa con il nome di Pio IV. Il “fratellino” cercò di rimediare ai disastri del Medeghino. Nel 1556 fece una donazione all’Ospedale Maggiore di Milano destinata a rimborsare i danneggiati dal “fratellone” e nel 1565 istituì per Lecco le Processioni del Perdono, un atto di devozione grazie al quale avrebbero ottenuto l’indulgenza tutti coloro che nella festa di Pasqua e nei giorni successivi avessero visitato la chiesa dei Santi Gervaso e Protaso nella parrocchia di Castello, dove era sepolto Gabriele De Medici, fratello del pontefice e di Gian Giacomo, morto nella battaglia di Mandello del 1531. Una decisione che creò una sorta di guerra tra le parrocchie di Lecco e Castello, che si contendevano la sepoltura del fratello del Medeghino, a conferma che quando c’era di mezzo il Gian Giacomo, qualche legnata ci scappava.
Da questi brevi accenni appare evidente che se c’è da scegliere un cattivo da mettere a far danni in un racconto storico ambientato sul lago di Como nel 1524, il Medeghino è il personaggio ideale. Andrea Vitali lo ha collocato al centro di un racconto che ricorda i romanzi popolari che tanto piacevano al suo conterraneo Tommaso Grossi. Ci sono tutti gli ingredienti di un drammone ottocentesco salvo una variante fondamentale, che fa saltare il classico impianto da romanzo d’appendice; c’è un innesco, insomma, che fa giustamente esplodere convenzioni narrative oggi arrugginite. Ma andiamo con calma. Il cattivo lo abbiamo già conosciuto ed è il Medeghino, con tutti i suoi sgherri pronti a metter in pratica le angherie più abiette. C’è poi il buono della situazione ovvero Polidoro, Signore di Bellano, attorno a Giancarlo Vitalicui ruotano il fedele Noceno, soldato devoto e con del buon sale in zucca, e padre Urbizio, un frate capace di tessere trame ardite. Riassumendo, c’è il buono, c’è il cattivo, manca solo un elemento: la bella da conquistare, la principessa da rapire, il muliebre fascino per cui dare la vita. E qui sta l’inghippo.
Il Medeghino ha, in effetti, una sorella ancora nubile – la Medeghina – ma la fanciulla, ormai frollata a puntino, ha una qualità imprevista, è bruttissima e non la vuole nessuno: “Un cavolfiore! Che nemmeno l’arte di un pittore di fama era riuscita a strappare al mondo delle maschere e degli incubi”. Da questo scarto, il racconto di Andrea Vitali prende una strada tanto inattesa quanto divertente. Qui non ci sono pretendenti disposti a duellare per la mano dell’agognata damigella, ne Il banchetto del Medeghino c’è un autentico fuggi fuggi di fronte ad una bruttezza che allontana chiunque. Ma c’è di più. La Medeghina, lungi dall’essere cosciente del suo aspetto sgradevole, non è una che si accontenta del primo venuto, la sorella del Medeghino ha le idee chiare e le sue grazie, si fa per dire, le vuole concedere ad uno solo: a Polidoro, Signore di Bellano. Da questa premessa spiazzante nasce un racconto, in cui i consueti binari vengono sovvertiti ed i treni non si fermano alle solite stazioni. Accade così che il Medeghino vorrebbe liberarsi dell’ingombrante sorella, ma Polidoro non ci sente; neanche la forza bruta e la malvagità del Signore di Musso e di Lecco sembrano poter risolvere una situazione familiare, che appare più complicata della lotta sanguinaria contro gli Sforza. Tra atti di coraggio e sviluppi teatrali degni di una commedia di Georges Feydeau, il racconto di Andrea Vitali ci sorprende per le sue spiazzanti atmosfere, in cui persino il banchetto del titolo, destinato ad un morituro, finirà per servire a due sposi inattesi. A far da scenario alla vicenda narrata c’è poi il lago; quel lago che ha in tre pescatori – Brocco, Gelindo e Iulio – i suoi interpreti privilegiati. Accanto alle navi del Medeghino, destinate alle scorrerie proditorie di autentici pirati d’acqua dolce, le barchette innocenti dei pescatori di Bellano rischiano di far brutta figura, non fosse che anche loro sapranno ritagliarsi una parte non da poco nel “banchetto” apparecchiato dal Medeghino in quel tratto non piccolo di lago.
Un universo, quello di Bellano, in cui, come si può vedere, non manca nulla, neanche lo strapotere di un condottiero spietato come il Medeghino, che non avrebbe sfigurato tra le fila di quei Lanzichenecchi, che, cento anni dopo, avrebbero messo a ferro e fuoco queste terre.