La coppa del babbo 3 Febbraio 2012 – Posted in: Archivio

E anche quest’anno la Chef’s Cup ha dato il meglio in (buon) gusto, divertimento, gare tra amici e socialità. E anche quest’anno non ho potuto andarci.

Mi resta la malinconica consolazione di un nutrito programma ricevuto con l’invito, e l’amichevole “ordine” che ogni anno Norbert Niederkofler (deus ex machina dell’evento, quest’anno alla settima edizione) mi ripete: «Questa volta non devi mancare, dai!».

È dal 2007 che non vado alla Chef’s Cup e non è per cattiva volontà o disinteresse: ogni volta accade qualcosa che me lo impedisce.
Non starò qui a stilare gli eventi.
Mi limito a dire che, per il ricordo che conservo delle due edizioni alle quali ho partecipato, l’Alta Badia e la sua gente è un connubio di rara ospitalità: nei paesaggi, estremi eppure accoglienti; nelle relazioni, riservate ma affabili appena c’è da condividere il piacere della bellezza e del benessere. Difficile non volerci tornare.
Lassù su quelle montagne conoscono perfettamente l’arte “del farti sentire a casa”. Norbert è uguale alla sua terra e alla sua gente, e se “ti sente” simile, diventa un amico. È questo che mi ha colpito quando l’ho incontrato nelle passate edizioni: sarà perché porto il nome delle sue Alpi o perché sono cresciuta anch’io “in salita”, come ama dire il nostro chef altoatesino parlando di se stesso montanino; o semplicemente perché apprezzo sinceramente la sua cucina equilibrata e senza inganni, ma capace di stupirti con piccole sorprese dentro involucri “normali”. Sarà per tutto questo, ma Norbert io lo sento amico. E quel che so è che per molti altri è così. A partire da chi partecipa (da anni) alla sua invenzione di gara sciistica e ai fornelli, con raccolta fondi da devolvere in beneficenza.
Ma anche quando sono andata a trovarlo nella primavera del 2010, per raccogliere episodi della sua esistenza di uomo e di chef da “romanzare” in Spiriti bollenti. Sono rimasta a chiacchierare con lui quasi tre giorni, tra una (mia) passeggiata, un assaggio in cucina, un bicchiere di Lagrein Doc e uno sguardo alle (sue) montagne. Era come ritrovare un buon vecchio amico: poche parole, qualche battuta, occhi luccicanti se si parla di natura, di fuoco a legna per cuocere il cibo che si coltiva. E un accenno fuggevole al fatto che – finalmente – aveva trovato l’amore. Confessione concessa a pochi…amici.
Il settembre successivo arrivava nella sua vita anche Thomas, il primo figlio. Norbert è diventato “un babbo” al momento giusto nella sua vita movimentata dentro e fuori di sé, dopo anni di solitudine sentimentale «perché ho sempre fatto confusione e perché questo lavoro assorbe totalmente e non sempre puoi esserci, ma ora sono cambiato io». È vero: c’è un Norbert più sereno e determinato, dentro quello che mantiene l’aria del fanciullo dalla fronte ripida come la Gran Risa, la pista da sci sulla quale ha vinto tante gare da ragazzo. E dentro la testa, un’idea precisa su che cosa vorrebbe poter insegnare a Thomas: «Take a step back and look at it, perché bisogna guardarsi da fuori, ogni tanto. È necessario per non prendersi troppo sul serio, qualunque cosa si faccia nella vita. Soprattutto se diventi “famoso”. Certe volte ti piace, altre meno, ma poi esci perché tutto è un gioco. Per farlo, però, devi essere contento, sereno e profondamente convinto delle tue scelte, perché il cosiddetto successo, come viene se ne va».