La Chianina dalle stelle alle stalle 18 Settembre 2011 – Posted in: FOOD

 

Ancora Carne, Giancarlo Vitali

Fino alla bonifica operata dagli ingegneri idraulici del Granduca Leopoldo di Toscana, la Val di Chiana non era che una vasta palude dall’aria malsana. Alla metà del XIV secolo fu iniziata la bonifica della regione, la cui sistemazione, durata oltre quattro secoli, fu attuata mediante lo scavo di un complesso sistema di canali. Nel contempo furono progettate e costruite le caratteristiche case coloniche dalla forma quadrangolare e dal curioso rialzo della torre colombaia. Il merito di questa opera di bonifica e regimazione – colossale per ingegno e per risorse – va riconosciuto in buona parte ai veri “motori” di scavo dei canali, unica fonte di energia per il traino dei materiali: i buoi autoctoni di Razza Chianina dal mantello bianco porcellana e muso color ardesia, allevati e impiegati nell’agricoltura di quest’area da almeno 22 secoli. Erano (e sono) buoi giganti, di straordinaria forza e resistenza, dotati di una infinita tolleranza alle temperature elevate ed alla forte insolazione: nessun altro animale poteva sopportare lo sforzo e il disagio del lavoro di rinascita agricola della Val di Chiana. Dopo secoli, millenni di lavoro a ritmi di dieci ore al giorno anche per duecento giorni l’anno, l’importanza della Chianina comincia a venir meno davanti all’incalzare delle macchine a vapore e, più tardi, del motore a scoppio. E il luminoso soggetto di tanti paesaggi rurali consegnati alla posterità dai Macchiaioli si trasforma nella più succulenta tra le leggende gastronomiche.

Le caratteristiche di gigantismo somatico (è considerata la più grande razza bovina al mondo e nei tori adulti raggiunge i due metri di altezza al garrese per 17 q.li di peso), la rapidità di accrescimento e la precocità riproduttiva, si sommano ad una straordinaria resistenza a condizioni ambientali difficili e a una grande facilità al parto. Oltre a questi fattori economicamente rilevanti per gli allevatori, sono gli straordinari pregi gastronomici ad attrarre il mercato del consumo. Le carni magre e un corredo gustativo sconfinato ne decretano il successo internazionale ed eleggono la Chianina come la migliore razza bovina da carne del Mondo. Oggi è allevata con successo non solo negli USA e in Canada ma anche in Brasile, Argentina, Uruguay, Messico, Sud Africa, Mozambico, Australia, Nuova Zelanda, Germania, Irlanda, Russia.

Ma restiamo nella patria d’elezione della Razza Chianina, istigandovi a passare un’ora del vostro tempo in una “vera” macelleria Fiorentina (senza escludere le Senesi, le Aretine o le Massesi) ad aspettare di essere serviti, al cospetto di un macellaio toscano “vecchio-stile”, uno di quegli uomini rubizzi e monumentali con le mani grandi come vanghe. Uno che maneggia coltello, trinciante e mannaia per disossare, spolpare, spezzare, battere e tritare, che affetta prosciutti e sfoglia ventresche con regale solennità? Insomma, un macellaio competente e dotato, che ha scelto le mezzene e sezionato i tagli, che consiglia i clienti sulle parti migliori da destinare alle varie cotture. Come dite? Non conoscete nessuno che risponda a queste caratteristiche? Sfido io: fuori di Toscana son rari come i rinoceronti albini, ma in pochi luoghi (a Cortona, o a Greve in Chianti, a Montepulciano o a Panzano) ancora esistono. È che si fa prima al reparto carni del supermercato dov’è tutto visibile, pulito, pre-pesato, prezzato, datato, sgrassato. Dove non avete l’imbarazzo di chiedere, di manifestare la vostra inesperienza gastronomica – presto usata dal “macelladro” per rifilarvi quello che vuole – ma dove anche non vi è offerta alcuna possibilità di controllo se non visivo della qualità! Sarà tenera? Avrà un buon odore? Sarà stata tagliata controfibra o come Dio comanda? Sarà frollata a sufficienza?

Già, la frollatura: il segreto di una succulenta “bistecca alla fiorentina”! La frollatura deve essere di almeno 10/14 giorni dal tempo della macellazione… Se mal eseguita, ne risulterà una carne legnosa e incapace di trattenere i succhi in fase di cottura. Oggi questa delicata fase di maturazione biochimica della carne viene effettuata in ambienti sterili e a temperatura costante da 0 a + 3°C. Ma c’è chi ricorda (e parlo degli anni ’50) un vecchio e rinomato Oste fiorentino, che per migliorare la frollatura della Bistecca, rinchiudeva l’intera lombata di vitellone in un sacco di iuta e la lasciava appesa qualche giorno al soffitto…della toilette! Certo, la procedura non era delle più igieniche, ma l’attività dei batteri presenti in quel luogo dava una marcia in più alla maturazione delle carni e le bistecche risultavano memorabili per morbidezza e intensità aromatica.

Il modo in cui si produce e si consuma la carne in Italia è stato soggetto di importanti cambiamenti negli ultimi decenni. La lipofobia, imperante dagli anni ’70, ha introdotto pesanti condizionamenti sia sulla tavola che sui mercati ed ha influenzato anche gli allevamenti e i macelli. In pratica, la comune carne bovina esposta nei banchi frigoriferi italiani, è oggi per il 27% meno grassa di quella commercializzata vent’anni fa… Chiunque abbia avuto occasione di deliziare il proprio palato con una spessa e succulenta bistecca di Chianina ben frollata e dotata dell’immancabile cappottino di adipe, sa ch’è proprio il grasso a donar gusto alla carne, a regalarle dolcezza e morbidezza, ad elargire sapore e piacere. Le “nuove” carni vaccine, studiate in laboratorio e forgiate in allevamenti intensivi non sono adatte alle frollature classiche e tendono ad asciugarsi rapidamente in cottura, sviluppando composti sgradevoli se cotte a fiamma troppo viva. Sappiate che il macellaio o l’oste che vi hanno venduto una bistecca che tende a ridursi di volume, che rilasciano una importante quantità di liquidi con cui se ne vanno anche scampoli di sapore e di corredo nutrizionale, nella migliore delle ipotesi è un incompetente. Se poi vi ha detto che la lombata incriminata è di Chianina…allora è un malfattore. Non esiste altro bovino che dia una carne così magra e succulenta, morbida e al tempo stesso consistente, una carne di cui non si scarta niente perché il grasso è solo quello esterno, ideale anche per i dettami della moderna dietologia. La classica bistecca di Chianina “alla fiorentina”, ha un equipaggiamento di sapore distante anni-luce dalle anemiche carni dei vitelli allevati in batteria. Insomma: è una carne “moderna” con tutto il gusto dell’antico.

Urge essere precisi fin dall’inizio: “bistecca” non è sinonimo di “fettina”. In lingua italiana il nome “bistecca” compare agli inizi del ’700 quando i viaggiatori inglesi che passavano per Firenze, durante i festeggiamenti di San Lorenzo vedevano arrostire sulle griglie poste all’ombra del Palazzo della Signoria interi quarti di vitellone di razza Chianina tagliati a fette spesse due dita. Per i fiorentini e gl’italiani da allora fu bistecca, e per la lingua italiana, ancora oggi grazie al cielo, è tale solo il taglio di lombata in cui l’osso a “T” divide il controfiletto dal filetto. La bistecca non è mai meno spessa di due dita e il suo peso minimo è di novecento grammi, un chilo o giù di lì.

Quelle che il macellaio (non toscano) potrebbe tentare di spacciarvi per “bistecche” e che vi incarta velocemente dopo averle tagliate dalla coscia a spessore eucaristico (magari servendosi dell’affettatrice), son solo delle misere “fettine” che stanno alla vera “bistecca” come Saddam Hussein sta a Madre Teresa di Calcutta.

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