Un equilibrio precario 5 Luglio 2011 – Posted in: Archivio

Foto di Giuseppe Ottaiano

Sono i PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) ad essere i protagonisti indiscussi del ricco business della vendita diretta. Una vera e propria filiera definita corta perché mette a contatto direttamente il produttore con il consumatore. Conta in Italia oltre 800 mila piccole attività rurali che sviluppano un volume d’affari di circa 3 miliardi di euro all’anno. Valori in costante crescita (fonte Coldiretti).

Intorno a questa rete virtuosa si sviluppa, purtroppo irrisolta, una serrata polemica su possibili rischi per la salute che coinvolgono alcuni di essi. Parliamo ovviamente di prodotti di antica tradizione alimentare, alcuni dei quali sono definiti da Slow Food “esempi concreti e virtuosi di un nuovo modello di agricoltura, basata sulla qualità, sul recupero dei saperi e delle tecniche produttive tradizionali”. Prodotti che ovviamente stimolano schiere di eccitati gastro-turisti non solo italiani. La preoccupazione deriva proprio dalle tipiche pratiche utilizzate per la produzione che, per tradizione e cultura locale, spesso scivolano tra le maglie del regolamento CE che detta le note norme di autocontrollo Haccp. Se da una parte le medesime pratiche rappresentano l’elemento che caratterizza il peculiare corredo sensoriale di queste preparazioni, dall’altra la manipolazione, le metodiche di affinamento, di stagionatura e gli ambienti destinati a ospitarli espongono ragionevolmente a probabili rischi di contaminazione batterica e da tossine.

I prodotti su cui porre maggiore attenzione, perché maggiormente sensibili dal punto di vista igienico-sanitario, sono formaggi a latte crudo, salumi da carni suine, ovine e da predagione, oli extravergine d’oliva, mieli, conserve artigianali, trifole, uova e alcuni prodotti dell’orto. Nulla a che vedere, ovviamente, con i prodotti a marchio di qualità Dop, Igp e Stg che, attraverso opportune strutture di controllo, offrono garanzia di tranquillità. Per i PAT in questione molto sarà necessario fare per avviare un programma serrato di controlli per prevenire o accertare possibili contaminazioni da Salmonella, Listeria e Escherichia coli.

Allo stato attuale il Ministero delle Politiche Agricole si limita a tenere un elenco nazionale dei prodotti, aggiornato annualmente e che raccoglie le segnalazioni provenienti di anno in anno da regioni e province autonome. Mentre a livello locale le strutture di vigilanza sanitaria, pur tenendo conto delle specifiche realtà di territorio, cercano di affrontare il problema partendo proprio dalle nuove richieste di autorizzazione assoggettate a rigorose attività di controllo preventivo degli ambienti di lavorazione.

In un recente passato sul banco de

Foto di Giuseppe Ottaiano

gli imputati sono state chiamate famose preparazioni storiche come il lardo di Colonnata o il formaggio di fossa di Stigliano. Il primo, dopo un’estenuante tira e molla istituzionale, ha ottenuto nel 2003 il riconoscimento Igp, pur mantenendo inalterate le tecniche di maturazione in vasche di marmo. Riconoscimento non ottenuto dal secondo che pur ammesso al ruolo di tipicità tradizionale da proteggere paga probabilmente lo scotto della tradizionale metodica di affinamento che lo vede sepolto, avvolto in sacchi di cotone o lino, per un periodo fino a tre mesi in fosse scavate nel terreno. Un banco degli imputati che è ancora affollato da oli estratti da frantoi tradizionali, da salumi e formaggi affumicati artigianalmente e da prodotti con ingredienti non sottoposti a un preventivo trattamento termico.

Altra questione spinosa riguarda alcuni indagati speciali, le cosiddette conserve del contadino, il cui livello di acidità (per ovvi motivi di gusto) viene mantenuto intorno a ph 4,5 cioè ai limiti del rischio botulinico. Resta il problema di come difendersi dai rischi in assenza di un reale e rigoroso controllo a monte. Per non privarsi del piacere di consumare questi alimenti eccellenti (dal punto di vista sensoriale) è indispensabile qualche cautela personale. Prima di ogni altra, consiglia il Direttore di Coldiretti Campania Prisco Lucio Sorbo, “evitare di buttarsi a corpo morto alla ricerca di un indiscriminato piacere del gusto senza aver verificato, a colpo d’occhio, il generale stato igienico, sia negli ambienti di produzione che di spaccio dell’azienda agricola che ci ospita”. Nel dubbio una segnalazione all’ASL locale appare doverosa.