La civiltà del bicchiere 10 Maggio 2010 – Posted in: Archivio

vinoLa natura morta è un genere pittorico molto frequentato dal Seicento in poi. Oggetti, animali, fiori e frutta, propongono immagini – realistiche o essenziali ma sempre raffinate – peculiari della quotidianità domestica ma anche ricche di significati allegorici e riflessioni morali sul senso della vita umana. Non a caso i manufatti più raffigurati dalle nature morte sono bicchieri e bottiglie in vetro, materiale trasparente, fragile e puro, che rimanda a simbolismi legati alla verginità, alla fugacità della vita e alla purezza d’intenti e di pensiero. Ben prima dell’imporsi della consuetudine di ritrarre l’inanimato, i pittori del tardo Medioevo toscano adottavano gli oggetti quotidiani in vetro come elementi in grado di umanizzare luoghi e ambienti, capaci di rendere i linguaggi dell’arte più facili e comprensibili. Il pittore fiorentino, conosciuto come Maestro della Maddalena, nella sua Ultima Cena del 1280 riproduce una mensa imbandita su cui appaiono comuni stoviglie di vetro. Anche Giotto nell’Annunciazione dipinta nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1303) pone su una mensola casalinga, solitario quasi fosse una natura morta, un bicchiere troncoconico con decori geometrici vertical – tecnicamente un gambasinus – raffigurato a rovescio con l’intento di mantenerlo pulito.

Uguale soluzione pittorica si ritrova sessant’anni più tardi nell’affresco di Giovanni da Milano per la chiesa di Santa Croce a Firenze, in cui si racconta La Cena in casa di Maria Maddalena e di Marta. L’affresco delle Nozze di Cana, realizzato prima del 1350 nella collegiata di San Gimignano, riproduce un vero e proprio assortimento di bicchieri casalinghi fabbricati con la tecnica della soffiatura in stampo. Non sfuggono al richiamo del vetro e dei bicchieri neppure il senese Pietro Lorenzetti (Ultima Cena del 1319) e il cosiddetto Maestro delle Effigi Dominicane che esegue una miniatura (1340, oggi a Castelfiorentino) in cui bicchieri a stelo alto e bottiglia globulare appaiono ancora una volta sulla tavola dell’Ultima Cena.

Tutti questi oggetti del quotidiano sono abbastanza simili tra loro per forma e foggia, facendo supporre che i vari artisti attingessero a una produzione locale ben radicata sul territorio. In effetti, già nel XIV secolo la Toscana poteva vantare una importante produzione vetraria, concentrata perlopiù nell’area di Colle Val d’Elsa, con epicentro Gambassi e Montaione. Si sa, per esempio che le fornaci vetrarie costituivano una voce di primaria importanza nell’economia dello stato fiorentino ed è noto che da tutta Europa arrivavano giovani apprendisti per formarsi nella scuola d’arte vetraria toscana. Documenti d’archivio, nominano nel 1230 una fornace in Camporbiano da cui uscivano “vetri, bicchieri, ampolle, urinali e lampade” che venivano venduti in una bottega di S. Gimignano. Tutte queste testimonianze, avvalorano la tesi, peraltro diffusa, che il bicchiere stampato sia nato proprio in Val d’Elsa e che quel tipo di decorazione a motivi verticali geometrici sia propria di quel bicchiere gambasinus – cioè di Gambassi) spesso citato in molti documenti. Le fornaci lavoravano già nel ’500 con ritmi serrati e tempi preindustriali, resi possibili dall’innovazione della soffiatura in stampo che serializzava forme e decorazioni sperimentate dalla pratica e adeguate all’uso.

Nella prima metà del Cinquecento i Medici avvertirono a necessità di adeguare la produzione vetraria toscana all’eleganza e allo sfarzo dei banchetti di corte. Nel 1547 fu chiamato a Firenze il maestro vetrario veneziano Bartolo che aprì la sua fornace sul retro di Palazzo Pitti, nel giardino di Boboli. A partire dal 1600 la vetraria medicea progetta e produce oggetti in vetro fantasiosi e spesso bizzarri. Giovanni Maggi, nel 1604 scrive addirittura una Bichierografia in cui illustra 1600 fogie di bichieri mentre Jacopo Ligozzi progetta una serie di vetri “da capriccio” commissionati dalla famiglia de’Medici. Nell’Ottocento, quando s’impone in Europa il cristallo di Boemia, il vetrai valdelsani si adeguarono velocemente e senza difficoltà al nuovo materiale, forti anche di tecniche apprese in secoli di esperienza. Attualmente le vetrerie di questa “Bohemia italiana”, che va dalla Val d’Elsa, all’Empolese e al Valdarno, producono il 95% del cristallo venduto in Italia e coprono oltre il 14% del mercato mondiale.