Il Tartufo di San Miniato 12 Maggio 2010 – Posted in: FOOD

tartufoSe la cucina toscana è Regina della gastronomia italiana – per storia, tradizione, qualità e varietà – il diadema sulla sua corona è il tartufo. Bianco, naturalmente, come si conviene a una Regina par suo. A qualcuno potrà suonare come novità, ma il comprensorio di San Miniato è considerato da sempre come una delle migliori aree al mondo per il tartufo. San Miniato era ed è quindi nel cuore della Valle dell’Arno, delle strade fra Firenze e Pisa, Lucca e Siena. E nel raggio di venti miglia si giunge anche a Pistoia e a San Gimignano, Volterra e Vinci. Ma il comprensorio Sanminiatese è anche un habitat geologico straordinariamente complesso, fatto di terreni umidi, marnoso-calcarei e marnoso-argillosi del terziario, poveri di sostanze organiche.

Un territorio ricoperto di querce, e pioppi, tigli e salici. Bene, tutte queste sono condizioni ideali perché nel buio e nel freddo umido della terra, cresca misterioso e schivo il tartufo bianco. La ricerca è stagionale (dal 10 settembre alla fine di dicembre) e viene effettuata con cani addestrati, sotto la guida di esperti tartufai autorizzati ed iscritti ad un apposito registro. Avere la fortuna (e il fiato) di seguire un tartufaio di primo mattino nei boschi non è avventura di poco conto. Le zone “buone” sono soprattutto alcune frazioni della Val d’Egola come Corazzano, La Serra e Balconevisi ma anche i dintorni dei comuni di Montopoli, Palaia e Volterra.

Qui il tartufo bianco ha una secolare tradizione anche in cucina e da qui i “pezzi” migliori, più grossi e più profumati, partono alla volta delle tavole più esigenti o dei ristoranti più rinomati.

Il tartufo bianco di San Miniato non teme confronti con quello di Alba, anzi, da solo copre un terzo dell’intero mercato italiano (che è il primo al mondo!).

Sul gusto non possono esistere dubbi: o piace, oppure (purtroppo) no! A tavola vuole essere “re” incontrastato; ne ha il diritto e la pretesa. Occorre quindi un profondo esame di coscienza, prima di affrontarlo, prima di scegliere se affettarlo con estatica generosità sulle tagliatelle o sul riso, sulla carne, sulle uova o addirittura – come predicano alcuni temerari – sul pesce. La regola è sempre la stessa: dev’essere servito direttamente sulla pietanza di fronte al commensale, in modo che l’aroma si concentri e si dispieghi davanti alle narici di chi si accinge a goderne col palato e con la mente. Per chi vuol provare l’ebbrezza della follia gastronomica suggeriamo un’insalata di funghi (van bene i porcini, ma sarebbero ideali gli ovoli, roba da imperatori…) arricchita da tanto tartufo bianco a lamelle e condita con equilibrata delicatezza da un buon olio toscano, un’idea di pepe bianco e qualche lacrima di limone…; oppure alla “parmigiana” con strati alterni di tartufo, sedani croccanti e chiari e scaglie sottili di parmigiano: una benedizione di olio e una passata rapida a forno caldo renderà morbido il formaggio esaltando gli afrori di Sua Maestà, il Tartufo Bianco di San Miniato.

Per provare che tutto quanto abbiamo detto non è vuota teoria, consigliamo caldamente i nostri pazienti e golosi lettori di trascorrere un weekend a San Miniato nelle ultime tre settimane di novembre, quando la Città si trasforma in un grande laboratorio del gusto a cielo aperto, con bancarelle e chioschi che traboccano di tartufi e specialità gastronomiche vivificate dalla sua presenza.