Gli extravergine di oliva di Toscana 2 Maggio 2010 – Posted in: FOOD

Il giudizio generale (quella che i sociologi chiamano qualità percepita) sull’olio extravergine di oliva toscano trova riscontro nell’immagine di una regione in cui è patrimonio comune l’alta considerazione per l’ambiente e il costante ossequio alle tradizioni contadine. Pur rappresentando solo il 4% dell’olio extravergine d’oliva italiano, la produzione toscana si avvantaggia, rispetto ad altre regioni, di una serie di prerogative storiche e culturali fortemente distintive. Ma sono soprattutto le caratteristiche qualitative a identificare l’olio di questa terra come un prodotto di notevole pregio, di alto valore economico e capace di promuovere lo sviluppo locale anche in termini di investimento e di occupazione.

In Toscana, l’olivo occupa una superficie di 56.000 ettari che coinvolgono tutte le province. Le varietà differiscono tra loro per le dimensioni del frutto, per il rapporto tra polpa e nocciolo e per il ciclo di maturazione. Le maggiori differenze riguardano il tenore in acidi, il rapporto tra i medesimi e il tenore in componenti minori. Una stessa cultivar si esprime in modo differente a seconda dell’area geografica in cui cresce e le condizioni termiche influiscono sull’aroma e sulla composizione chimica dell’olio. L’abilità degli oliandoli toscani, unita alla benevolenza del territorio, crea un allettante catalogo di variazioni cui non è estraneo il procedimento di estrazione. Nonostante le infinite variabili e sfumature, ad andar per olio in Toscana, dove si casca si casca bene.

Generalmente l’olio che viene commercializzato con l’indicazione geografica “Toscana” presenta un colore verde con riflessi giallo carico, al naso ricorda l’erba fresca, il carciofo e in bocca si caratterizza per il sapore fruttato intenso con retrogusto di mandorla. Questo in linea generale, perché il consumatore attento e i palati più esigenti, può comporre una propria “oleoteca” con le sotto-denominazioni d’origine meno note (diremmo quasi più esclusive) che sono il vanto delle tante strade dell’olio di Toscana:

• A Grosseto, il “Seggiano“, un olio monovarietale, fruttato-leggero, realizzato con la varietà Olivastra Seggianese, una cultivar autoctona della zona del Monte Amiata che ha notevole resistenza al freddo. L’olio che se ne ricava è gradevole e “sinuoso”, con prevalenza di note amarognole tanto più presenti quanto più tardiva è la raccolta delle olive. Come indicazione suggeriamo di preferire un Seggiano di colore dorato ma non carico. Al naso dovrà dichiarare una certa fragranza;

• A Lucca, il “Colline Lucchesi“, ottenuto dalla spremitura di olive Frantoio e una minima parte di Leccino. Il colore è giallo dorato con toni di verde, il profumo è fruttato leggero. In bocca incuriosisce per la sua bassa piccantezza e l’incisiva percezione di dolcezza;

• A Massa e Carrara, il “Colline della Lunigiana“, anche questo – come il suo vicino “Colline Lucchesi” – nasce principalmente da olive Frantoio, con una minima presenza di Leccino che apporta note dolci. Il colore è giallo dorato con nuances verdi. Il profumo è fruttato leggero mentre al gusto si rivela dolce con esigue impronte di piccante;

• Ad Arezzo, il “Colline di Arezzo” impiega, da sole o congiunte, le olive delle varietà Frantoio, Moraiolo e Leccino. Si segnala per un colore verde intenso carico ma non è raro scorgere sfumature gialle che non ne diminuiscono il pregio. Il profumo è intenso e fruttato. Al palato fa trapelare una piacevole verve piccante e un leggero amarore che con il tempo si attenua. Ha gusto lungo e persistente;

• A Siena, il “Colline Senesi” prevede l’impiego delle cultivar ad alta produttività (Correggiolo, Frantoio, Moraiolo, Leccino) e di alcune varietà locali come il Maurino, il Morchiaio e il Mignolo. Colore verde più o meno intenso con possibilità di tocchi giallognoli, profumo fruttato e sapore piccantino, gradevolmente amaro, con lievi segni erbacei;

• Sempre a Siena, il “Terra di Siena” è prodotto con almeno due delle varietà Frantoio, Correggiolo, Moraiolo e Leccino. Il colore può variare dal verde al giallo, con variazioni cromatiche nel tempo. Al naso è fruttato e al palato evidenzia buone ed equilibrate note di amaro e piccante che non ne celano l’anima dolce;

• A Firenze e Prato, il “Colline di Firenze” autorizza una trentina di varietà di olive a comporre il suo complesso bouquet fruttato, in cui si ritrovano sentori di mandorla, carciofo, mela matura e foglia di pomodoro. L’intensità e la lunghezza di bocca dipendono dalle diverse percentuali delle varietà più aggressive, come il “Leccio dal Corno”;

• A Pistoia e Firenze, il “Montalbano“, un bel fruttato pieno, elegante e distinto in cui si manifesta il carattere delle cultivar maggiori ma anche quello delle varietà Pendolino, Rossellino e Piangente che possono entrare nel blend o essere imbottigliate in purezza. A seconda della composizione e dell’evoluzione regala un colore che va dal verde al giallo oro con variazione cromatica nel tempo. Sempre riconoscibili sentori di mandorla, carciofo, frutta matura, verde vegetale. Al palato è consistente di frutta, con percezione di piccante;

• A Pisa, il “Monti Pisani” è un fruttato leggero, tendenzialmente dolce e poco piccante che è contraddistinto da un colore giallo oro con toni di verde. Oltre alle olive Frantoio,Moraiolo e Leccino (da sole o congiunte) impiega anche la cultivar Razzo, tipica di quest’area e portatrice di un buon fruttato. Non gli mancano sentori molto fini di carciofo e di pomodoro. In perfetto equilibrio le tonalità di amaro e pungente;

• Sulle colline chiantigiane, il “Chianti Classico”, l’olio la cui zona di produzione coincide con quella dell’omonimo vino. Qui la tradizione olearia è antichissima e l’amore per l’ulivo è tramandato da generazione in generazione. Quest’olio è prodotto con le varietà Frantoio, Correggiolo, Moraiolo e Leccino, da sole o congiunte. Il colore va dal verde intenso al verde con sfumature dorate. Il profumo è fruttato, netto di oliva, talvolta con ricordo di erbe aromatiche. Il sapore è piccante, sapido e leggermente amaro.

Il giudizio generale (quella che i sociologi chiamano qualità percepita) sull’olio extravergine d’oliva toscano trova riscontro nell’immagine di una regione in cui è patrimonio comune l’alta considerazione per l’ambiente e il costante ossequio alle tradizioni contadine. Pur rappresentando solo il 4% dell’olio extravergine d’oliva italiano, la produzione toscana si avvantaggia, rispetto ad altre regioni, di una serie di prerogative storiche e culturali fortemente distintive. Ma sono soprattutto le caratteristiche qualitative a identificare l’olio di questa terra come un prodotto di notevole pregio, di alto valore economico e capace di promuovere lo sviluppo locale anche in termini di investimento e di occupazione. La coltivazione di specie affini all’olivastro selvatico – che in un primo tempo si era insediato nelle zone interne della Lucchesia – era attività consueta degli etruschi già dal VII secolo a. C. I romani diffusero la coltivazione dell’olivo in tutti i territori occupati, perfezionando le tecniche di allevamento della pianta e quelle di produzione dell’olio, che finì per assumere un ruolo sempre più sostanziale nell’economia generale dell’Impero. Le invasioni barbariche segnarono una drammatica crisi nella produzione olivicola. L’abbandono delle campagne favorì boscaglie e paludi che cancellarono quasi del tutto gli scenari agricoli della Toscana. Agli olivi non rimase altra scelta che inselvatichire e smettere di produrre. Solo dopo il 1000 si cominciarono a manifestare segniIl giudizio generale (quella che i sociologi chiamano qualità percepita) sull’olio extravergine d’oliva toscano trova riscontro nell’immagine di una regione in cui è patrimonio comune l’alta considerazione per l’ambiente e il costante ossequio alle tradizioni contadine. Pur rappresentando solo il 4% dell’olio extravergine d’oliva italiano, la produzione toscana si avvantaggia, rispetto ad altre regioni, di una serie di prerogative storiche e culturali fortemente distintive. Ma sono soprattutto le caratteristiche qualitative a identificare l’olio di questa terra come un prodotto di notevole pregio, di alto valore economico e capace di promuovere lo sviluppo locale anche in termini di investimento e di occupazione. La coltivazione di specie affini all’olivastro selvatico – che in un primo tempo si era insediato nelle zone interne della Lucchesia – era attività consueta degli etruschi già dal VII secolo a. C. I romani diffusero la coltivazione dell’olivo in tutti i territori occupati, perfezionando le tecniche di allevamento della pianta e quelle di produzione dell’olio, che finì per assumere un ruolo sempre più sostanziale nell’economia generale dell’Impero. Le invasioni barbariche segnarono una drammatica crisi nella produzione olivicola. L’abbandono delle campagne favorì boscaglie e paludi che cancellarono quasi del tutto gli scenari agricoli della Toscana. Agli olivi non rimase altra scelta che inselvatichire e smettere di produrre. Solo dopo il 1000 si cominciarono a manifestare segni