Antinori: l’umanesimo del vino 4 Maggio 2010 – Posted in: TRAVEL

AntinoriFiglio di una ricca famiglia di commercianti fiorentini bandita da Firenze dal 1382 per motivi politici, Leon Battista Alberti (1404-1472) fu con Brunelleschi il più grande architetto del ’400. A lui si deve il progetto di Palazzo Rucellai e il compimento di Santa Maria Novella a Firenze. Ma anche il Tempio Malatestiano di Rimini, il campanile del duomo di Ferrara e la chiesa di S. Andrea a Mantova. Figura artistica fra le più integrali e universali del Rinascimento, l’Alberti fu pure matematico, poeta, linguista, filosofo, musicista, archeologo e finissimo letterato, anticipando per poliedricità lo stesso Leonardo Da Vinci. Tra il 1433 e il 1441 si dedicò alla stesura in lingua volgare dei suoi Libri della Famiglia, in cui l’artificio letterario del dialogo, dà modo all’Alberti d’indagare i presupposti del matrimonio, d’interpretare la vita famigliare e l’educazione dei figli, di approfondire con sorprendente modernità la gestione economica della casa, la vita di relazione tra genitori e figli e i rapporti con le altre famiglie. Un testo di contenuto oltremodo attuale, in cui si fronteggiano due concezioni contrapposte: la nuova mentalità, borghese e moderna, e quella avvinghiata al passato, alla tradizione. Non ne esce un vincitore ma emerge l’immagine di un umanesimo civile che oggi scarseggia e la cui lettura – tutt’altro che malagevole – consiglieremmo a molti degli ottusi che governano la cosa pubblica.

Spetta ad altri, con interessi meno ameni dei nostri, inquadrare compiutamente la figura di Leon Battista Alberti e approfondire i suoi Libri della Famiglia dal punto di vista filologico, letterario e storico. A noi basta la convinzione che una tale opera non mancava nelle biblioteche delle casate più importanti della Firenze del ’400. Al pensiero dell’Alberti – al suo senso della famiglia, al rispetto per le regole, all’onestà e al dovere, ma soprattutto al significato dell’eredità morale che i figli s’attendono dai padri – parrebbe essersi ispirata la dinastia degli Antinori. Al tempo dell’Alberti, la famiglia Antinori era attiva da due secoli nella vita economica e politica di Firenze, dove si trasferì da Calenzano agli inizi del Duecento e dove già nel 1180 Rinuccio di Antinoro produceva vino sulla strada per il Mugello. Era una famiglia di mercanti, iscritti all’ Arte della Seta dal 1285 e successivamente – grazie alle succursali che aprirono a Bruges e a Lione e alla rete di affari che avviarono in tutta Europa – all’Arte del Cambio. Ma erano prima di tutto, quasi per fisiologica vocazione, produttori e mercanti di vini, tanto che l’iscrizione di Giovanni di Piero Antinori all’Arte dei Vinattieri e risale al 1385. Da allora e per 6 secoli, determinata a occuparsi dei frutti della terra e del commercio, la famiglia entrava nel diritto di fare concorrenza agli altri nomi della nobiltà fiorentina. Generazioni successive di Antinori, come si conveniva ai nobili, presero sì parte alla vita politica di Firenze ma non persero mai di vista l’originaria passione per la viticoltura e il vino.

Le loro sorti accompagnarono quelle dei Medici, la famiglia fiorentina dominante in politica, cultura e finanza. Fu proprio su consiglio di Lorenzo de’ Medici che Niccolò Antinori nel 1506 acquistò un grande palazzo a pochi passi dall’Arno, la cui architettura – ideata da Giuliano da Maiano nel 1461 – fu ispirata a quel Palazzo Rucellai progettato a Firenze proprio da Leon Battista Alberti. La piazza su cui si affacciava la nuova residenza fiorentina di Niccolò, si chiamava piazza San Michele Bertelde ma da subito il popolo prese a chiamarla “la piazza degli Antinori”. Il palazzo, gioiello architettonico del Rinascimento, conta circa 50 stanze ed è tuttora residenza dei Marchesi Antinori e sede operativa della loro Azienda. Ad un’altra proprietà degli Antinori si riferisce nel 1685 Francesco Redi nel suo celebre Bacco in Toscana, che lodava i vini degli Antinori dicendo:

La d’Antinoro in su quei colli alteri / Ch’an dalle rose il nome, / Oh come lieto, oh come / Dagli acini più neri / D’un Canajuol maturo / Spremo un mosto si puro / Che ne’ vetri zampilla, /Salta, spumeggia e brilla!

I colli alteri ch’an delle rose il nome, sono quelli del grande podere di San Lorenzo alle Rose, presso il Galluzzo. Questa era la residenza “in vigna” degli Antinori già nel 1491,“con casa da signore e da lavoratore”, da cui la famiglia traeva 40 barili di vino annui. Era in gran parte quel canaiolo maturo e spumeggiante che al Redi piaceva a tal punto da scrivere al farmacista Cestoni di Livorno: “sarei stato felice se i quattro fiaschi di vino che vi sono stati dati a mio nome dall’Antinori fossero stati buoni e fossero piaciuti al vostro prete, e ciò sarebbe di non piccolo merito perché, notoriamente i preti hanno un gusto delicato, e il Granduca Ferdinando era solito dire che i preti che non apprezzano il buon vino sono pazzi!”. Non si deve però pensare che il marchio Antinori abbia avuto, in passato, il ruolo che gli viene riconosciuto oggi. Il vino è sempre stata la passione e l’attività principale della famiglia ma è solo nel 1898, con la fondazione della “Fattoria dei Marchesi Lodovico e Piero Antinori”, che i possedimenti e le aziende agricole si sono trasformate in una vera e propria impresa, moderna e organizzata. A fondarla furono i due figli del marchese Niccolò – omonimo discendente di colui che aveva acquistato Palazzo Antinori – che già molto si era prodigato per dare ai vini toscani un’immagine di alta qualità. Fino ad oggi, 26 generazioni di Antinori si sono dedicate anima e corpo al vino: producendolo, innovandolo e facendolo conoscere al mondo. L’attuale Marchese Antinori, Piero, è consapevole di quanto “le antiche radici giocano un ruolo importante nella nostra filosofia, ma non hanno mai inibito il nostro spirito innovativo. Abbiamo una missione che non è del tutto compiuta, il che ci spinge ad esprimere il vasto potenziale dei nostri vigneti e a conciliare il nuovo che rimane da scoprire con il patrimonio del gusto toscano che include tradizione, cultura, agricoltura, l’artistico ed il letterario… che rappresentano la nostra ’toscanità’.” Una visione al tempo stesso umanistica e pragmatica che ha ispirato anche l’attuale Accademia Antinori, il cui scopo è valorizzare e celebrare al tempo stesso l’arte legata al territorio toscano ed alla cultura vitivinicola in un esaltante impegno di ricerca e studio, restauro ed editoria, eventi artistici e mostre. Il segreto della famiglia è proprio… la famiglia. La lezione di Leon Battista Alberti con il suo concetto etico fondante, è più che mai attuale. Ecco: è nobile colui che sa proseguire sulla strada che altri hanno tracciato prima di lui, senza cedimenti, senza ripensamenti, con la volontà di migliorare sempre e di saper leggere nella storia, negli uomini e nella natura.

ma non persero mai di vista l’originaria passione per la viticoltura e il vino. Le loro
sorti accompagnarono quelle dei Medici, la famiglia fiorentina dominante in
politica, cultura e finanza. Fu proprio su consiglio di Lorenzo de’ Medici che Niccolò
Antinori nel 1506 acquistò un grande palazzo a pochi passi dall’Arno, la cui
architettura – ideata da Giuliano da Maiano nel 1461 – fu ispirata a quel palazzo
Ruccellai progettato a Firenze proprio da Leon Battista Alberti. La piazza su cui si
affacciava la nuova residenza fiorentina di Niccolò, si chiamava piazza San
Michele Bertelde ma da subito il popolo prese a chiamarla “la piazza degli
Antinori”. Il palazzo, gioiello architettonico del Rinascimento, conta circa 50
stanze ed è tuttora residenza dei Marchesi Antinori e sede operativa della loro
Azienda. Ad un’altra proprietà degli Antinori si riferisce nel 1685 Francesco Redi
nel suo celebre Bacco in Toscana, che lodava i vini degli Antinori dicendo:
La d’Antinoro in su quei colli alteri / Ch’an dalle rose il nome, / Oh come lieto, oh
come / Dagli acini più neri / D’un Canajuol maturo / Spremo un mosto si puro / Che
ne’ vetri zampilla, /Salta, spumeggia e brilla!
I colli alteri ch’an delle rose il nome, sono quelli del grande podere di San Lorenzo
alle Rose, presso il Galluzzo. Questa era la residenza “in vigna” degli Antinori già
nel 1491,“con casa da signore e da lavoratore”, da cui la famiglia traeva 40 barili di
vino annui. Era in gran parte quel canaiolo maturo e spumeggiante che al Redi
piaceva a tal punto da scrivere al farmacista Cestoni di Livorno: “sarei stato felice
se i quattro fiaschi di vino che vi sono stati dati a mio nome dall’Antinori fossero
stati buoni e fossero piaciuti al vostro prete, e ciò sarebbe di non piccolo merito perché,
notoriamente i preti hanno un gusto delicato, e il Granduca Ferdinando era
solito dire che i preti che non apprezzano il buon vino sono pazzi!”. Non si deve però
pensare che il marchio Antinori abbia avuto, in passato, il ruolo che gli viene
riconosciuto oggi. Il vino è sempre stata la passione e l’attività principale della
famiglia ma è solo nel 1898, con la fondazione della “Fattoria dei Marchesi
Lodovico e Piero Antinori”, che i possedimenti e le aziende agricole si sono trasfor-