Alla Macchia! 5 Maggio 2010 – Posted in: Archivio

FattoriFra il 1855 e il 1867, al Caffè Michelangelo di Via Larga a Firenze, si riuniva un drappello di pittori che frequentavano un’arte antiaccademica, nata per descrivere l’emozione del vero e l’impressione oltre l’apparenza. Li accomunava il rifiuto di quella studiata armonia impaginata nelle opere classiche. A questo figurativismo calcolato, contrapponevano una tecnica sintetica e veloce, quella del dipingere “alla macchia” (nel senso di operare sul campo, all’aperto, fuori dallo studio), accentuando i contorni delle figure, modulando con misura i chiaroscuri per dar risalto alla luce e al colore. Pittore di punta del movimento dei “Macchiaioli” fu il livornese Giovanni Fattori (1825-1908) che si dichiarava “omo sanza lettere” estraneo alla “cultura esatta”. Livornese, introverso e indifferente ai condizionamenti culturali, Fattori tratteggiava alla macchia ogni luce, ogni specificità arcana che riusciva ad emozionarlo: dagli scenari naturali, agli accadimenti della natura, fino alla semplice monumentalità della Creazione meno cortese.

La Maremma selvatica e scortese del diciannovesimo secolo fu l’oggetto e il soggetto di molti suoi dipinti. Una terra a due dimensioni sotto l’opaca luminosità di cieli sempre prossimi al rovescio. Il suo tratto alla macchia è privo di ripensamenti e di indecisioni. È inmediato, sintetizza e quasi imprigiona il vigore fisico dei mandriani e del loro incalzare al galoppo nella fissità della pianura, coagula nel colore il vigore e la forza dei grandi grandi tori dal portamento fiero e dalle corna a lira. Solo un secolo separa la Maremma di oggi da quella fissata sulla tela da Fattori e, se son mutati i tempi, le idee e gli stili di vita, non è cambiato di molto né lo scenario nè lo spirito di questa terra che è uno dei paesaggi più suggestivi della Toscana. I progressi sociali, le necessità materiali e le ambizioni personali hanno migliorato il livello di vita dei suoi abitanti e i segni di una certa agiatezza sono ben evidenti: centri urbani moderni e funzionali, strade confortevoli, case e ville signorili con splendidi giardini, autovetture di grossa cilindrata. Finanche i casolari tozzi e squadrati di un tempo sfoggiano un lifting quasi mai volgare, per proporsi come ristoranti o agriturismo di grande dignità e onestà. Benedetta Maremma, capace di pavoneggiare ancora l’incanto del paesaggio, delle atmosfere e delle suggestioni, dopo essersi scrollata di doso la proverbiale miseria e le privazioni. Le bonifiche di questo angolo di Toscana, un tempo terribilmente inospitale, furono molto lente. Come lenta e ferma era l’acqua dei pantani, lento il progresso sociale, lenta la lotta contro la malaria, il brigantaggio e l’analfabetismo. Le “grandi opere” di risanamento iniziarono col Granduca Pietro Leopoldo nel ’700 per concludersi solo tra le due guerre mondiali, dopo più di due secoli e solo dagli anni ’30 del novecento si può parlare di una presenza stabile dell’uomo nelle terre sottratte alle paludi.

I paesaggi cari a Fattori erano ancora quelli dei latifondi coltivati a cereali o destinati all’allevamento. Le enormi mandrie di bestiame alla macchia, rendevano durissimo il lavoro dei mandriani, i butteri (dal greco BOUTÉS per “bifolco” o da BOTÀ per “armento, gregge”) incaricati di governare e controllare le mandrie e di domare le vacche e i cavalli allo stato brado. I forti cavalli maremmani ritratti da Fattori non son certo gli stessi di oggi, perché fin dal 1902 le Scuderie Reali di San Rossore crearono una nuova generazione di maremmani incrociando i robusti e ombrosi cavalli bradi con purosangue inglesi, più gentili e slanciati. Identica e immutabile è invece la vacca Maremmana, una razza docile e rustica che è l’erede diretta dell’Uro, il Bos Taurus Macreceros ben noto agli Etruschi e progenitore di tutti i bovini europei. La razza è sopravvissuta fino a noi grazie alla sua capacità di adattamento ad ambienti in cui difficilmente potrebbero essere allevati altri bovini. Ad esempio, essendo dotata di una cute spessa e coriacea, la Maremmana non è attaccabile dalle zecche vettrici della piroplasmosi, una fatale ed endemica malattia delle coste della Maremma. È un’eccellente riproduttrice che partorisce alla macchia, senza assistenza, quasi sempre tra febbraio e aprile. La sua estrema frugalità, la viene in aiuto per sfruttare il pascolo arboreo, ad integrazione della dieta durante la siccità estiva. Insomma è una grande utilizzatrice delle risorse di quei “terreni marginali” di cui è ricca la Maremma, una delle più grandi foreste dell’Europa occidentale. Il pascolo brado delle bovine garantisce una fertilizzazione costante del terreno e realizza una continua pulizia della macchia, utile anche alla prevenzione degli incendi. Forza, carattere docile e resistenza, le hanno sempre guadagnato il ruolo di animale da fatica, procrastinando l’uso delle carni alla fine della vita lavorativa. Così è stato fino agli ultimi anni cinquanta, quando la meccanizzazione delle campagne ne ha ridotto il numero finoi a livelli di estinzione. Tolta alla sua funzione motrice e intollerante ai vincoli della stalla, la Maremmana fu sostituita nelle fattorie (con tanto di solito, sciagurato incitamento ministeriale) da vacche “a miglior resa lattifera”, necessità che in un’area di formaggi pecorini non si riesce a spiegare…’85 Dopo aver resistito per millenni a terribili epidemie, a carestie devastanti, ai lavori più gravosi – dalle bonifiche al trasporto dei marmi dell’Amiata -, a catastrofi naturali, incendi, guerre e rivoluzioni, la razza bovina più pregevole ed interessante del nostro Paese soccombeva davanti alle scelte di una politica agricola sguaiata e incompetente.

All’inizio degli anni ’60 la vacca Maremmana era quasi una curiosità per nostalgici e i butteri figure da cartoline dal gusto un po’ retrò. Fu allora che qualcuno (e fra i primi fu Gino Veronelli) fece notare che le sue carni erano molto magre, sapide e gustose, straordinarie per qualità e salubrità. Grazie al cielo – che qui è sempre quello di Maremma, dall’opaca luminosità che annuncia il rovescio nelle tele del Fattori – ora le vacche grigie dalle lunghe corna sono tornate alla macchia all’Alberese, all’Uccellina, lungo la piana del Cecina, a Orbetello, a Follonica, a Montiano e non solo. Di butteri, all’infuori dalle rievocazioni turistiche o folcloriche, non ce n’è più. Si vedono solo in qualche cartolina dal gusto un po’ retrò o imprigionati per sempre, alla macchia, nei quadri di Giovanni Fattori.