Moreno Cedroni 28 Aprile 2010 – Posted in: FOOD

Moreno CedroniL’ora blu. È quando un unico colore indaco, scaturito dal mare, pare tingere per sempre le cose, sospendendole in una breve luce interiore.

Blu il cielo, blu le onde, solo un po’ più nera la costa come il bordo di una pentola dove si siano dolcemente fusi spigoli e voci e ricomposta in un cerchio la linea spezzata del caso. Anche i pesci potrebbero risalire dal fondo e accomodarsi vicino alla donna che mostra negli occhi la propria ferita d’amore e al bambino che ha costruito una diga sonora di sassi.

Biancovestiti, i camerieri del Clandestino hanno iniziato il servizio, recapitando scatolette vuote sui piatti. Accanto, offerto in un ciotola, il loro contenuto. Come resistere all’idea di cenare con questi piccoli scrigni di mare anche se il menù spazia in più aeree proposte? Di collezionare razioni di un naufragio piacevole e senza rischi?

Impossibile, perché l’ora blu chiede di farsi sinceri, di aprire la latta, di curiosare annusandone la vita.

La famosa salumeria ittica di Moreno Cedroni ha per tiranno il naso, l’estremità che giudica da lontano, per cui, anche ad occhi chiusi, si può descrivere l’universale bellezza o bruttezza del mondo.

Quella cosa lì, piantata in mezzo alla propria faccia, con cui il cadetto di Guascogna sfidava la volgarità.

«Volevo eliminare l’odore di scatola dalle scatolette» – ripete in un mantra Cedroni.

Una cosetta da nulla, ma insopportabile.

Come cercare di eliminare dalla poesia il poetese, dalla gloria la vanità, dal panorama i tralicci dell’alta tensione.

E allora, eccola la prima scatoletta, quella che contiene le seppie con i piselli, passata e ripassata all’olfatto per cogliere esatto lo sposalizio primaverile di mare e di terra.

Scatoletta che sotto la stempiatura e il sorriso di Moreno potrebbe addirittura evocare la trasparenza del bicchiere, la traccia di bouquet.

Nobilitata dall’assenza di odore, diventata preziosa mentre insegui con il pane il condimento, dispiace lasciarla finire in pattumiera. Chissà che non diventi, prima o poi, un oggetto assoluto, un souvenir?

La notte al mare ha vinto l’ora blu e la brezza che scende dal monte Conero rinfresca l’aria fino alla necessità di un plaid: azzurro. Anche questo concilia il piatto successivo.

Stavolta, è un fegato di coda di rospo non c’è forse nulla di più ostico da conservare, eppure dalla scatola esce un cibo vivo, prepotente. Organo svelenito e sostanzioso. Più che con le seppie, si coglie la logica di un procedimento, una forza persuasiva.

Cosa ha sostituito l’odore di scatola? La sua invadenza?

«La conservazione – mi spiega – dipende da tre elementi che si combinano insieme: la materia, la ricetta e la cottura. Capisci allora che si tratta di una questione capitale, che investe direttamente il cuoco. L’arte della conservazione è arte culinaria, di fuoco, di spezie e di luoghi.

«L’enorme vantaggio è che sono loro, le scatolette, a viaggiare, a portare in giro un nome e una regione. Io, non mi allontano dalle mie radici, resto a guardare il mare, a rimettere le lancette sull’ora blu.

Un punto di vista che, alla fine, ripaga più di quanto immagini, specialmente quando apri il tonno e l’olio è rimasto verde, mentre tutti dicevano che impazziva».

Seguendo la stessa strategia, basata sulla sorpresa, accanto alla conservazione dei sapori e del naso che guida l’assaggio, c’è il tema della consistenza.

Un rigo di capesante, tagliate a cubetti e in mezzo l’istmo di puré che lega i bocconi, giocando su mezzi toni del bianco e del paglierino.

In bocca, la sericità del puré di patate esalta il turgido delle capesante, rinvigorite (incapricciate!) dalla scottatura che alla fine sostiene il tutto.

Nell’architettare questo minimo gioco di resistenze, un ruolo non secondario ce l’hanno anche le stoviglie allungate. Simili a bastoncini, a fioretti. Un modo di appoggiare lo sguardo, di tenere a distanza riflettendo in anticipo sui piccoli misteri del piatto.

Cucinare è presentare, servire la propria immagine mentale, la propria stoccata.

Cedroni, per sua bizzarria, ha deciso di togliere l’acca a sushi, sostituendola con la ci.

Ma la consonante aspirata in meno significa più consistenza al crudo, confinando oltre la sensazione di molliccio.

Una riforma occidentale. Per associazione mi fa pensare a quei gesuiti che in Oriente vestivano come bonzi, di un bel arancione, trasferendo su di sé il contrasto culturale.

«Il cambio di consistenza – precisa Moreno – avviene col calore, salendo a più trenta, quaranta gradi. Anni fa, avrei giudicato in base ai concetti di buono e cattivo. Oggi, il demone personale istiga la masticazione. Solo questa mi dà le emozioni giuste, segna la rotta».

Nella mappa di Cedroni, a offrire lo spunto è ancora una lettera: il kappa di Anikò, contraltare urbano del bar sulla spiaggia di Portonovo. Dialetto stretto, senigalliese, che significa “ogni cosa” nel senso di smisurato, esagerato, ciclopico.

Al posto dell’ora blu c’è il design, lo spazio disegnatissimo di un chiosco che include e separa il passeggio sulla piazzetta di Senigallia: «dove vedi e sei visto».

I prodotti, là come qua, sono realizzati all’Officina, la fabbrica degli insaccati di mare e delle scatolette.

Si trova a Marzocca come il ristorante La Madonnina del Pescatore da cui tutto inizia.

Quattro attività correlate, raggruppate in meno di quaranta chilometri, sono un segno di abilità, ma soprattutto di cocciutaggine, quasi che il cuoco potesse farsi luogo.

Quante persone lavorano con te?

«In tutto cinquanta, la metà delle quali rappresenta il nocciolo duro. La stessa cura che riservo alla selezione dei prodotti la metto nella ricerca delle persone.

La mia non è una barca di clandestini. Sono tutti marinai, legati da un vincolo di rispetto e di fatica verso il proprio capitano».

Non si tratta solo di una metafora per almeno tre motivi. Il primo è che Moreno Cedroni si è diplomato all’Istituto Nautico di Ancona; il secondo che usciva in mare a pesca di sgombri; il terzo che la sua arte culinaria si avvantaggia di una curiosità ingegneresca, di un’autentica passione per il bullone.

«Posso darti conto di ogni presa elettrica e del funzionamento di tutti i macchinari che utilizzo».

Così, lo vedo, con i galloni di lungo corso, muoversi senza enfasi tra i tavoli sul mare, restare un po’ in disparte e contemporaneamente parlare sorridente con l’equipaggio.

Infine, anche la stima per l’olio – una riverente considerazione – ha, indirettamente, a che fare con lo spirito della navigazione.

«Senza di questo non sarei diventato cuoco, perché attraverso l’olio passa e si manifesta il sapore che hai in testa».

Nicola Dal Falco