Direzione silenzio 9 Agosto 2014 – Posted in: ART, BOOKS

cover_Il CustodeDall’introduzione di Stefano Salis al dodicesimo titolo della collana iVitali.

Non bisogna mai pensare di conoscere abbastanza a fondo uno scrittore. Meno che mai la sua scrittura. Andrea Vitali ci ha abituati, da anni, e con una regolarità che ha del disarmante, a tessere le fila di un mondo immaginario fatto di sorrisi bonari, di trame semplici o complesse, di storie di lago e di vita nelle quali la solarità della sua scrittura si accompagna, quasi sempre, a quella dei suoi personaggi, del suo mondo, del suo essere profondamente scrittore. Ma non facciamoci ingannare. Un artista deve sempre tenere da conto la molla profonda, e spesso taciuta, che lo spinge ad andare avanti, a non accontentarsi, a muovere un passo oltre il territorio nel quale si è spinto l’ultima volta o che ha esplorato nel passato. Quella molla è l’inquietudine ed è una forza oscura e potente: la scrittura, la letteratura, se ne è sempre nutrita con ingordigia, sapendo anche, spesso, di che amare sorprese fosse condita. Non che il mondo di Andrea Vitali non si fosse confrontato prima con l’oscuro, con il lato nero e buio della vita e della narrativa o lo avesse temuto. Nemmeno il più sprovveduto dei lettori potrebbe scambiare il tono elegiaco e addirittura di narrazione festosa che promana dalle sue pagine, per una facilità irridente del saper raccontare, per uno scrittore senza ombre. Ombre e lati inquieti, Vitali, li ha sempre avuti: magari celandoli proprio sotto le mentite spoglie di una forza narrativa che si lascia dietro i cattivi pensieri.
Qui no.
A EnsorIn questo racconto claustrofobico, il custode ci mette con le spalle al muro, forse perché, prima di tutti noi lettori, ha inchiodato a quel muro lo stesso autore. È un’atmosfera chiusa, notturna, cimiteriale quella che si respira in queste pagine, e Vitali ha certamente assunto la lezione del magistero di Kafka e di Dürrenmatt. Attenzione, ci sta dicendo. Il lato oscuro, mortale e mortifero, della scrittura e della personalità ci verrà prima o poi a chiedere di quale pasta siamo fatti. Come scrittori e come lettori. I vermi del pensiero, potente metafora che agisce in queste pagine, sono infatti in agguato. E lo sono tanto più quanto noi non siamo pronti ad accorgercene. Cupa e tetra, l’aria (poca) che si respira in queste pagine, dicevamo, potrebbe essere però un invito all’ascolto. All’ascolto meticoloso del pensiero, anche quello che marcisce pian piano e si fa ossessione, distruzione, si fa chiusura e rimeditazione senza darci possibilità di fuggire. Sì, perché dobbiamo continuare a leggere, anzi, non so se sarete d’accordo, è come se questo testo chiedesse di essere declamato, letto, in un crescendo di emotività e disperazione e in un calando di intensità, in direzione del silenzio, ultima meta di queste pagine. Una narrazione franta, del tutto sfarinata, nella quale sgocciolano frasi e pensieri, come fossero ossessioni da tenere a bada: sospensione del ritmo, cadenze circospette, ripetizioni e cambi repentini.
Vitali, il suo custode, questi pensieri-vermi che circolano e pericolosamente ci avvolgono la testa, sono un pezzo di bravura di un autore che ha voglia di confrontarsi con l’indicibile, con il limite estremo del narrabile, là dove il numero vile e materiale va sostituendosi appunto alla lettera, alla parola. Oltre calerà il silenzio, il verme e la cenere avranno vinto. Polvere siamo e polvere torneremo. A volte, la luce delle parole non riesce ad uscire dal condono tombale di una mente che non può sfidare il buio che la allaga. E così il custode, la generazione dei custodi, le loro abitudini, le loro inesauste parole, le loro inutili meditazioni, ci aiutano, forse, a ritrovarci. Paradossalmente possono regalarci un respiro: quello che si prova dopo un’apnea, quando si torna su da dove non si è potuto respirare. Leggere per immergersi verso il nero, finire e tirare un sospiro. Siamo fatti più consapevoli, più solidi, e… siamo vivi. Possiamo tornare a nutrirci di parole, di letture, di sogni e di luce.
I custodi della letteratura, che sono gli scrittori, che sono i lettori, sanno come cavarsi dagli abissi, anche quando ci si sono infilati da soli. È la forza della letteratura, che redime, sempre, gettando squarci e sguardi di inevitabile, umanissima, speranza. Almeno, ci sforziamo di credere che sia così.

Stefano Salis