A lezione dalla luna 20 Ottobre 2011 – Posted in: BOOKS

Stralunario (Andrea Vitali, Giancarlo Vitali)Introduzione a firma di Stefania Berbenni pubblicata su Stralunario, ultimo titolo della collana iVitali.

Cominciamo dal basso. Le è toccato scendere dal cielo, bussare qua e là elemosinando un invito mai porto. E, indebolita per non aver sentito neanche un refolo di piétas, piangendo, è rotolata sempre più giù, sui marciapiedi, fra le ciglia di un bambino perché lì è ben voluta, e di lei hanno bisogno. Prima lezione impartita dal nostro unico satellite naturale: inutile cercare la compagnia di chi è in altre faccende affaccendato, o è troppo lontano da te per capirti vagamente (La luna bussò, manifesto canoro di Loredana Bertè). Secondo monito: mai stare fermi, né tantomeno avere la presunzione che gli altri vengano a noi; da sempre la Luna si consuma, girando, illuminando, accorciando le distanze per poi riallontanarsi. È ammirevole in quella ripetitività da casalinga celestiale. Sarà frustrata, la poveretta? Non si direbbe, se da millenni non fa che servirci facendoci sentire importanti, dopo che quel fesso di Niccolò Copernico ha detto che siamo noi a girare intorno al Sole, tanti Icari con le ali sciolte (e qui c’è il terzo insegnamento: l’umiltà).

Stralunario (Andrea Vitali, Giancarlo Vitali)Il quarto invece è liquido, scivola rassegnato sulla scorza impermeabile degli uomini (intesi come maschi), ignorato e solo raramente degnato di sguardo attento. Suona più o meno così: due più due non fa quasi mai quattro, la realtà non è intelligibile, la capisce meglio l’inconscio, la penetra di più l’intuizione, la vede meglio l’occhio emotivo. In astrologia, la Luna è rubricata come pianeta femminile, depositaria dell’inconscio. Era Hator, la dea feconda degli egizi. E fino a pochi anni fa, prima che la maternità diventasse figlia del calcolo e della scienza, la data del parto veniva letta sul calendario di Frate indovino, o sentendo la vicina di casa, perché era legata alle fasi lunari e c’era poco da obiettare, si nasceva quando la Luna era al punto giusto. Sarà che è appesa al buio, ma è lei che sovrintende i nostri sogni. E i nostri incubi. È l’hard disk di quello che finisce rimosso nella veglia, è la meravigliosa luminosa memoria di desideri e paure infinite. Chiedetelo a Freud e ai suoi seguaci. Oppure all’Ariosto che spedisce Astolfo sulla Luna per riprendere il senno del paladino Orlando, impazzito, privo della coscienza di sé, furioso come recita il titolo del poema.
Ma la lezione più dura da digerire è che la vita, morte inclusa, non è comprensibile, girala pure come un calzino, studia, datti alle scienze occulte o alla new age, sii pio come un frate di clausura o saggio come un dalai lama, non se ne esce, rimane un enigma. Tanto che Lorenzo Lotto nel Ritratto di Lucina Brembati (1518) nascose il primo rebus che la storia ricordi proprio in uno spicchio di luna, mettendoci dentro una “C” invisibile ad occhio nudo (per formare la parola Lucina), piccolo dettaglio sullo sfondo, a sinistra. E Cyrano, ferito, nell’ultima visita alla troppo amata e mai amata Rossana per il rituale aggiornamento sui pettegolezzi di corte, vede la «luna opalina», il raggio che lo è venuto a prendere, perché la morte può presentarsi anche con dei bagliori di luce per quel guascone di De Bergerac, che fu tutto e lo fu invano. C’è una scena in La voce della luna di Federico Fellini che rimanda alla sesta lezione di quest’insegnante senza cattedra fissa: sul fondo, lontana, piccola eppure presente, c’è una luna piena perfetta che svetta su un enorme campo di grano, nel mezzo del quale c’è un pozzo; Roberto Benigni si volta verso chi lo sta guardando (noi) e dice: «Eppure se ci fosse un po’ più di silenzio, forse qualcosa potremmo capire». Fine del film. E anche delle lezioni della Luna.