L’arrendevole consistenza del rame 19 Ottobre 2011 – Posted in: ART

Il contributo di Gianfranco Colombo al catalogo Sulla Via del Rame di Danilo Vitali.

La Via del Rame (Danilo Vitali)

Danilo Vitali – Cactus

Sono mani inquiete quelle di Danilo Vitali eppure sapienti. Trattano i fogli di rame come fossero pagine bianche e la sua scrittura si affida a strumenti meno educati di una qualsiasi penna. Lui ricorre al fuoco, all’acqua, ad acidi innominabili, ad una serie infinita di bulini e di scalpelli. Nel suo antro-studio, in quella che ad entrarci può sembrare una semplice officina, modella il rame affidandosi agli elementi di una natura, che piega alle sue idee. La duttile superficie del rame acquista così una nuova vita e va a costituire la collezione dei manufatti di una artista-artigiano, che non pone limiti alla sua fantasia. Il rame diventa melagrana o girasole, si può trasformare in un volto barbuto di capra o nel gruppo composito di quei funghi chiodini che fanno tanto sottobosco; ma, soprattutto, le idee cui attingere ispirazione arrivano dal lago, che sta a due passi. Ed allora sono gli agoni o le alborelle a trovare nuova verginità, ad abboccare all’amo di questo Vitali (a Bellano i Vitali sono una tribù infinita), che con i pesci ha una lunga storia ed a cui non sembra vero di fissarli una volta per tutte dentro la sua materia d’elezione.

Bolle la tenace pece

Tutto comincia da un blocco gommoso di pece nera. Su questa superficie sarà appoggiato il foglio di rame che ne dovrà diventare parte integrante. Ma prima ancora ci vuole l’azione potente della fiamma, che la pece deve liquefare. La fiamma rubizza investe il blocco nero, che in breve tempo inizia a sobbollire e liquefarsi. Tra il nero della pece in ebollizione ed il rosso della fiamma implacabile potrebbe materializzarsi persino Malebranche, evocato come non mai dagli elementi distintivi della sua infernale bolgia, ed invece è l’educata gentilezza del rame ad occupare la liquida superficie ed a divenire con lei un tutt’uno. Raggiunta la pace, spentisi i fumi e le fiamme, inizia il lavoro di bulino. Con mano esperta Danilo Vitali segue le linee ben note di forme a lui familiari ed inizia a “disegnare” la silhouette dell’agone. L’arnese segna il rame e scava le due parti del pesce. Il tutto vien fatto con grande pazienza, non ci vuole fretta quando si ha a che fare con queste creature. Finita la prima sbozzatura, il foglio di rame va girato ed allora, ancora una volta, fuoco alla pece, che deve liberare il manufatto. Giratolo e di nuovo amalgamatolo alla sua materia nera si torna a lavorare di bulino a dare vita definitiva ai pesci-scultura, che poi lo scalpello libererà definitivamente dalla pece-tavolozza.

La livrea dell’argento

La Via del Rame (Danilo Vitali)

Danilo Vitali – Trota

E adesso è il momento della saldatura. Le due parti dell’agone-scultura ritrovano la loro unità, non prima di essere stati ricotti dalla fiamma, ammorbiditi una volta ancora e poi per sempre uniti. Ma non è finita. Se il fuoco ha contribuito alla sua nascita ora l’agone di rame finisce nell’acido, che ne impedirà l’ossidatura. Ci penserà poi una soluzione d’argento a dare all’agone i suoi bagliori ben noti. La brunitura sul dorso, complice un acido implacabile, completa il lavoro, che avrà poi nella pietra pomice il penultimo atto. Un’energica lucidatura sarà il completamento dell’opera. E’ finita? Macché. Questo è un agone dei tanti che dovranno contribuire alla scultura finale. Perché il branco di pesci che si muove dentro le forme di Danilo Vitali, richiede la pazienza, già citata, di un artista che ha imparato dalla pesca le virtù dell’attesa.

Son pesci o son nuvole?

A guardarle, le opere finite, vien da chiedersi se son pesci o son nuvole. Leggere, quasi vaporose nel loro apparente fluire, danzano movimenti suggeriti dalla loro guizzante immobilità. La maestria di Danilo Vitali è quella di scolpire nel rame decine e decine di agoni, miriadi di alborelle, di lavorarle una a una, con l’implacabile assiduità di chi ha bene in mente dove vuole arrivare. Così, di opera in opera, hanno trovato legittimazione anche le sinopie dei fogli di rame usati. Arabeschi di rame, ritagli in negativo, sono stati trasformati dall’artista in fluenti onde lacustri, che rimandano, nell’assenza, l’immagine segnata di coloro che il rame ha ceduto allo scalpello. Bellissime queste forme che non hanno bisogno di definirsi astratte per avere licenza di vivere. In loro la mancanza della materia scolpita diventa la possibilità di immaginarla. Insomma, finito un agone, lasciata la pietra pomice, si torna a sputare fuoco sulla pece ormai cementificata e lustra nel suo nero smoking. Ma prima di andare avanti e di continuare a dar voce all’infinita disponibilità del rame, una sosta non dovrebbe far male, antidoto quanto mai opportuno ai bagliori della fiamma. Usciamo dall’antro-officina e per un appuntamento del destino incontriamo un pescatore. A precisa domanda, risponde che di pesci, oggi, neanche l’ombra. Il sorriso di Danilo Vitali è quanto mai eloquente, lui i pesci non ha bisogno di pescarli, lui gli agoni li crea dal nulla o meglio gli bastano un foglio di rame e qualche sbuffo della pece in fiamme.