Il cambiamento nel mondo di Primo Franco 30 Ottobre 2019 – Posted in: BOOKS, WINE
Il vino è qualcosa di più di una semplice bevanda: è un punto focale per la conversazione. Il vino avvicina le persone, ravviva la discussione, promuove gli scambi culturali. È questo il motivo per cui nel mondo del vino abbondano le personalità esuberanti, fuori dall’ordinario (per non parlare di quelle del tutto fuori… di testa). Durante una vita di viaggi per vino, di assaggi e di studio, ho incontrato una quantità di personaggi sorprendenti. Dai viticoltori ai proprietari di aziende vinicole, incluso chi fa, o sostiene di fare, entrambe le cose. Dal più piccolo componente del produttore di nicchia al più rampante dei leader di settore. Da chi appartiene alla vecchia scuola a chi impone le nuove mode. Dal più adorabile dei filibustieri al più dolce individuo sulla faccia della terra. Dal più apparentemente strampalato al più magnificamente fuori strada. Dal virtuoso più naturalmente dotato al visionario maniaco del lavoro.
In mezzo a tutta questa gente davvero particolare c’è Primo Franco: un gentiluomo e un uomo gentile. Due caratteristiche del tutto diverse, ovvio, ma entrambe presenti nel caso di Primo.
Primo è sempre vestito in modo elegante, anche quando a casa ha indosso soltanto un pullover e un paio di pantaloni. I capelli argentati, sempre curati alla perfezione, tagliati corti, aggiungono il tocco finale al suo aspetto raffinato e, come quello di Monna Lisa, il suo sguardo vi segue dovunque. Primo possiede la rara capacità di sorridere con gli occhi. Occhi nei quali brilla qualcosa di malizioso, un luccichio impertinente e malandrino. Certe volte giurerei che mi abbia appena fatto l’occhiolino, anche se so perfettamente che non lo farebbe mai. Un vero monello.
Primo è un uomo intelligente, colto, di buone letture. È profondamente orgoglioso dell’eredità ricevuta dal padre e dal nonno, la cantina Nino Franco, e del suo personale contributo all’azienda di famiglia. Orgoglio bilanciato da una buona dose di umiltà, sempre attento com’è al valore degli altri.
Primo è capace di apprezzare il più raffinato dei ristoranti stellati e di andare in visibilio per un McDonald’s. Ogni volta che viene negli Stati Uniti non manca di tornarsene al suo hotel sgranocchiando avidamente un cartoccio di crocchette di pollo. Capacità di entrare in sintonia con la gente normale? Non secondo Primo, che considera le crocchette di pollo di McDonald’s un lusso sfrenato.
Un calice di Prosecco, grazie
Devo fare una confessione. Per i primi venticinque anni della mia vita professionale legata al vino ho ignorato il Prosecco. Il motivo? Normale arroganza, suppongo. Lo snobismo di uno specialista di Champagne che non ha tempo da perdere con un vino messo a fermentare in una grande vasca lucente e venduto qualche settimana dopo che i grappoli d’uva da cui è nato se ne stavano ancora appesi alla vite. Un vino talmente riconoscibile che in nove assaggi su dieci sapore e profumo risultavano identici, un vino per cui chi ordina “Prosecco” non manifesta il minimo interesse nel conoscere il nome del produttore.
La mia percezione del Prosecco è cambiata quando l’ho messo a confronto con il Cava (allora neanche lontanamente proposto quanto oggi) e ho verificato che fra loro ci sono quattro uve che non acquisiscono niente dall’invecchiamento sul lievito (Parellada, Macabeo e Xarello per il Cava e Glera, naturalmente, per il Prosecco, che allora veniva ancora chiamata Prosecco). E non soltanto queste quattro tipologie di uve non acquisivano niente dall’invecchiamento sul lievito ma perdevano progressivamente freschezza e attrattiva immediata. Senza nulla togliere ai produttori di Cava, che in anni più recenti hanno compiuto passi da gigante, a quei tempi vedevo il Cava come un vino che cercava di essere qualcosa che non era né sarebbe mai stato in grado di diventare, mentre i produttori di Prosecco avevano accettato i limiti della loro monovarietà e, trasformando in positivo un aspetto negativo, avevano cercato di ottimizzarne freschezza e attrattiva immediata eliminando i sedimenti del vino quanto più rapidamente possibile.
Divenne presto evidente la ragione per cui il Prosecco aveva raggiunto il successo commerciale, in particolare nell’affollato settore della cultura da bar: incontrava il gusto dei consumatori di cocktail e quello, a maggioranza femminile, di chi a pranzo sceglieva di bere Pinot Grigio o Sauvignon Blanc.
Un progetto consapevole, sostenuto da un raro quoziente di onestà, grazie al quale chi era impegnato nella costruzione del marchio Prosecco non si illudeva di offrire un’alternativa allo Champagne. Anzi, proponeva il Prosecco come un drink piuttosto che come un vino in sé. Ecco perché il Prosecco viene spesso ordinato semplicemente come “Prosecco”, come se fosse un cocktail, ed ecco perché il maggior consumo di Prosecco è dovuto a un pubblico che non ama i vini spumanti fermentati in bottiglia e invecchiati sui lieviti. Esisterà sempre, comunque, una piccola quantità di consumatori di Prosecco crossover e brand-aware e/o che sceglierà di spostarsi sui vini spumanti invecchiati sui lieviti e/o che sceglierà felicemente di bere entrambi.
La grande maggioranza dei consumatori dei prodotti Nino Franco deve necessariamente avere una brand-awareness, non solo perché Nino Franco è il più caratteristico Prosecco sul mercato, ma anche perché è uno dei più cari, praticamente impossibile da ordinare per caso. Nel libro, Primo scrive che ho sempre attribuito la riconoscibilità di Nino Franco alla sua “caratteristica nota di pepe bianco”. È vero, anche se non è tutto dal momento che i suoi vini offrono una maggiore complessità e rivelano al naso e al palato altri insoliti aromi dominanti, ad esempio sentori d’erba e semi di sedano. Caratteristiche impossibili da ritrovare in altri Prosecco, il che rende Nino Franco una vera spina nel fianco quando partecipa a competizioni come lo Champagne and Sparkling Wine World Championships (CSWWC), dove tutto viene assaggiato “al buio”… I risultati di sei anni di CSWWC dimostrano che Nino Franco ha regolarmente conquistato più medaglie d’oro di ogni altro produttore di Prosecco, ma pepe bianco, sentori d’erba e semi di sedano da soli non garantiscono nessuna medaglia d’oro. Non tutti i singoli Prosecco Nino Franco vincono una medaglia, vini medaglie d’oro di altri produttori sono in grado di uguagliarli e almeno in un’occasione Nino Franco è stato battuto nel taste-off per il Best Prosecco Regional Trophy. Il che dimostra la nostra apertura ad ogni altro legittimo stile di Prosecco e come il giudizio finale debba sempre spettare all’equilibrio e all’eleganza strutturale. Ma dimostra anche che Nino Franco si è aggiudicato il trofeo cinque anni su sei!
Primo ha tutte le ragioni di essere orgoglioso di questo come di tutti gli altri riconoscimenti ottenuti durante una vita di lavoro, di alcuni dei quali si parla nelle pagine che seguono.
Prosecco way of life assomiglia più a un album fotografico con didascalie che a una tradizionale autobiografia e questo gli garantisce una piacevole leggibilità. Grazie a poche parole scelte con sapienza, rivela una straordinaria capacità di far rivivere il passato. I suoi accenni a personaggi e abitudini una volta dati per scontati e oggi così diversi, mi hanno riportato indietro nel tempo.
Primo esce raramente da queste pagine come una personalità narcisista, risultato notevole in un’autobiografia, ma riesce a passare indenne sopra il campo minato dell’autoreferenzialità grazie al suo senso dell’umorismo venato di autoironia. Mi auguro che questo libro piaccia tanto quanto è piaciuto a me.
Tom Stevenson
Tom Stevenson, autore e critico britannico, si occupa di vino da quarant’anni ed è considerato la massima autorità mondiale nel campo dello Champagne e dei vini spumanti. Ha scritto venticinque libri, i più importanti dei quali sono stati pubblicati in tutto il mondo da oltre cinquanta case editrici in più di venticinque lingue. Nel 2014 ha fondato lo Champagne & Sparkling Wine World Championships (CSWWC) di cui presiede la giuria.
Prefazione al libro Prosecco way of life.