Equilibrio e rigore per un grande Prosecco 30 Ottobre 2019 – Posted in: BOOKS, WINE

Ho incontrato per la prima volta il Prosecco alla fine degli anni ‘60. Altri tempi. Ho avuto la fortuna di essere il testimone del cambiamento che la cultura enologica in Italia cominciava a manifestare. Oggi ci sono mille aziende produttrici allora erano cento e quelle cento preparavano la strada che ha portato fino a qui.
Pronunciare il nome Prosecco non era frequente come oggi. Esistevano poche denominazioni di origine e l’export era una voce secondaria nei bilanci economici delle cantine. La moda, i trend, lo spritz e il successo planetario sarebbero arrivati molto più avanti.
Ricordo quindi l’incontro con quelle bollicine con un pizzico di nostalgia. Ero un giovane alle prime armi, curioso come pochi e alla scoperta dell’incantato mondo vinicolo. Vivevo a Milano e lavoravo come aiuto sommelier presso il ristorante Gourmet in via Torino, angolo piazza Duomo. Non era un locale qualunque, soprattutto quando i tavoli si animavano con la presenza di personaggi illustri e alcuni grandi produttori di vino. Mi accostavo soprattutto a questa cerchia di commensali, aprivo le orecchie e ascoltavo (con discrezione) le loro suggestive narrazioni popolate da vigneti, uve, terroir e cantine. Ben presto mi sono fatto adottare da alcuni di loro. Non ero ancora maggiorenne e mi consideravano la loro mascotte. Così, quando dopo il servizio serale staccavo dal lavoro mi univo alla combriccola della brigata di sala e di cucina, iniziando a bazzicare le primissime enoteche e vinerie.
In particolare l’enoteca Ronchi, all’epoca in via San Maurilio, e la vineria Scoffone in via Hugo, entrambe poco distanti dal ristorante. Qui, trascinato da questa ‘confraternita del vino’, ho fatto conoscenza con il Prosecco. Non ho mai dimenticato quei precisi momenti. Un sorso dopo l’altro, il sapore del vino si è impresso nel palato. E nella memoria.
Dopo quelle prime esperienze positive, ho cominciato a studiare meglio questo tipo di vino. Ma, dopo varie degustazioni, mi accorgevo di come fosse difficile ritrovare le stesse sensazioni provate nei locali milanesi. I vini che assaggiavo non riuscivano a esaltarmi.
Poi è arrivato il 1980. Lavoravo come sommelier nel ristorante di Gualtiero Marchesi in via Bonvesin de la Riva. Un giorno entrò nel locale un noto selezionatore di vini che mi propose di degustare il Prosecco Nino Franco, allora sconosciuto a Milano. Il nome della cantina non mi disse nulla. Sta di fatto che ci sedemmo al tavolo, stappai il Prosecco che aveva portato con sé e riempii gentilmente il calice. Un assaggio e tutto fu immediato: catturato dalla spuma abbondante e dalle bollicine finissime, il mio palato, a contatto con quel vino dai profumi tenui, ben equilibrato al gusto dalla giusta quantità di anidride carbonica, iniziò a mettersi in moto, riattivando il ricordo. Chiusi gli occhi e la mia mente corse alle storiche serate milanesi. L’autentico Prosecco di Valdobbiadene, ecco con chi avevo di nuovo a che fare. Al naso coglievo deliziosi profumi di pera e glicine, in bocca il sapore era accattivante, ammorbidito da una limitata presenza di zuccheri residui e da una calibrata quantità di anidride carbonica che lo rendeva cremoso al gusto. Non esitai un istante a inserire il prodotto nella cantina e sulla carta del ristorante di Gualtiero.
Da quel momento iniziai a elaborare possibili sodalizi tra il Prosecco Nino Franco e la cucina. Il cibo bussava alla porta di questo vino che acquisiva rapidamente nobiltà ed eleganza, ma l’abbinamento non era scontato. Ho allontanato piatti troppo saporiti, come quelli a base di carne rossa, selvaggina o formaggi stagionati. Che diamine: la delicatezza di quel nettare frizzante esigeva accompagnamenti più delicati, di marchesiana memoria, come gli spaghetti freddi con caviale e cipollina, i fegati rosa di pollo in terrina nel loro burro, i maccheroni con il tartufo nero, il nasello in guazza bianca o le uova ai bianchetti.
Giocare sull’equilibro dei sapori è stata la scelta vincente, come con- fermano ancora oggi i colleghi, i ristoratori o gli importatori a cui propongo le bollicine di Nino Franco. Professionisti attenti a riconoscere la vera qualità di un vino e incuranti dell’effetto trendy che quel nome suscita. Perché oggi Prosecco è anche questo: un fenomeno alla moda. Ma per appartenere a questa categoria, a mio avviso, occorre osservare un rigoroso processo di produzione che inizia dalla vigna e non ammette imprecisioni. La scelta dei grappoli, la tecnica di vinificazione, di rifermentazione, tutto dev’essere eseguito con cura e attenzione.
E Primo Franco è un vignaiolo che da sempre rispetta questi parametri. Per questo riconosco nel suo Prosecco un vino effervescente di assoluta qualità. Un’idea che non muta in me da quasi quarant’anni. Da quel lontano 1980 in via Bonvesin de la Riva.

 

Giuseppe Vaccarini
Miglior Sommelier del Mondo ASPI, Presidente dell’Associazione della Sommellerie Professionale Italiana.

postfazione al libro Prosecco way of life