Eataly. Alto cibo nel quartiere ostiense 17 Luglio 2012 – Posted in: FOOD

Il tempio del buon cibo anima un quartiere un po’ sgangherato di Roma, ma già teatro di storie cinematografiche (La finestra di fronte e Le fate ignoranti, di Özpetek, per fare due esempi). All’Ostiense, appiccicato alla ferrovia dove ora ferma anche il nuovo Italo, c’è l’Eataly più grande del Paese.
Un ex magazzino, poi laboratorio teatrale negli anni Settanta, poi centro sociale, poi più nulla. Oscar Farinetti ha colpito nel segno e ha messo in piedi un super spazio da far girare la testa. Tutto vetri e acciaio con una vista davvero inusuale per la Roma da cartolina: certe torri popolari, qualche stabile dismesso e in lontananza i tramonti incatevoli dietro i pini marittimi che circondano la Piramide di Cestio che c’è, ma da qui non si vede. A Eataly ci sono andata alla prima inaugurazione, poi alla seconda. Ma in quei casi, si sa, si carpisce il senso di un luogo meno di quando ci si torna da semplice pubblico pagante. Per ora la sera è impraticabile: folle di persone si accalcano alle casse, fanno la fila per una piadina dei fratelli Maioli di Cervia, per un fritto di pesce di Pasquale Gaetano Torrente da Cetara, per un’ottima birra e non parliamo per la mozzarella di bufala di Roberto Battaglia di Caserta o per un piatto della tradizione romana, questo mese cucinato dalla regina della matriciana, Anna Dente.
Alla faccia della crisi, qui l’Alto cibo tiene. Almeno per ora.

Io ho scelto di cominciare dall’inizio: la prima volta ci sono andata solo per l’aperitivo e una piccola spesa. Un bicchiere di Arneis e uno di bianco Doc siciliano accompagnati da mezza formella (mezza, non una fetta!) di robiola piemontese e mezzo (mezzo, non un po’ di fette) salame sardo; per companatico dodici fette di pane sfornato in giornata con farine biologiche, cotto a legna e impastato con lievito madre. Per la quantità e la qualità a me è sembrata una cena, una di quelle da osteria vecchia maniera.
Il costo: 10 euri a testa, senza scontrino fiscale perché è una cooperativa (ai sensi di legge). Un happy hour alla milanese costa 8 euri a persona: non sto qui a fare paragoni sulla qualità. Ci tornerò per un pranzo, visto che a cena le previsioni parlano di lunghe estenuanti file per ancora un po’ di mesi (la novità, si sa…). La prima volta da pubblico, però, è un invito a tornare. E anche farci la spesa ha un senso: costa, ma seguendo la filosofia del poco ma buono (o meno ma meglio) si torna a casa con un San Daniele dop che sfama solo a annusarlo, una ricotta di capra che ha il sapore di quelle appena fatte dal contadino e un pane carasau che non me lo ricordavo più da quando, due anni fa, sono stata in Sardegna. Tutto questo acquistato alle ore 23. Perché qui si mangia e si compra fino alle 24. E per Roma, credetemi, è davvero una svolta…europea. Posso permettermi di spezzare una lancia a favore di questa Eataly, ora che ci sono andata come semplice pubblico. Nonostante la pessima acustica (che non favorisce le chiacchiere tra amici) ci tornerò, con parsimonia, ma ci tornerò.