Strani perfetti accordi 5 Dicembre 2011 – Posted in: Archivio

La prima volta che sono stata a pranzo all’Osteria francescana ero reduce da una settimana di gozzovigli e cene.
Avevo un po’ di nausea, ero provata da troppi viaggi e non vedevo l’ora di tornare a casa. Invece l’incontro con Bottura, per scrivere un racconto sul mio libro Spiriti bollenti, era già stato fissato e non è pensabile cercare di spostare una data con cuochi giramondo come lui, pluripremiati. Quindi chiesi al mio stomaco, che in condizioni normali avrebbe fatto una festa, di fare invece uno sforzo: la prospettiva era un lungo menu degustazione, per di più di uno chef che ai fornelli e in laboratorio crea piatti per tecnica e accostamenti anche audaci.
L’anticamera che mi riservò Massimo non fu d’aiuto. Dopo avermi fatto accomodare nel suo ufficio-laboratorio nel retro-ristorante, l’esimio chef continuava a sbrigare cose urgenti, a rispondere a telefonate ed e-mail dicendomi «ancora un momento scusa». In realtà l’attesa non è andata oltre mezz’ora, secondo l’orologio sulla parete alla destra della scrivania di Massimo: un misura minuti con lettere al posto di numeri a comporre la frase “Il tempo torna”.
Guardavo ogni lettera e cercavo di tenere a bada l’impazienza meditando su quel concetto vagamente zen, quando Bottura mi dice di non avere molto da raccontare e pochi minuti da dedicarmi. Poi si alza e sparisce.
Occupo il tempo sperando nel tempo che torna e guardo in giro. Sulla scrivania tra carte, inviti, premi, menu spunta una foto di Massimo e Lara, la sua brillante moglie newyorkese. Il tempo passa e passo dallo studio al laboratorio dove il caos della scrivania di Massimo si vanifica: qui un piano d’acciaio lucidissimo e ordinato occupa metà dello spazio dietro il quale, disposti di fianco ad un lavandino inox, trovano posto i ferri del mestiere: dai più comprensibili coltelli a incomprensibili (per me) strumenti da alchimista.
Di fronte al banco dell’artista, un tavolo rotondo per riunioni è sovrastato da un enorme quadro d’arte contemporanea, un pallino di Bottura. In un punto più nascosto della stanza c’è un articolo con
“I dieci piatti che hanno cambiato la cucina”.
Nell’elenco, fra nomi internazionali, compare Massimo con il Magnum di foie gras.
Un gustoso divertissment entrato nella “storia”.
Smetto di ficcare il naso e, mentre penso che questa intervista non si farà, entra di nuovo in scena il mio protagonista «Eccomi, cominciamo?». Ok, parliamo della tua vita, gli dico. «Neanche per idea». Alla fine siamo rimasti a chiacchierare per quasi cinque ore, nelle quali – contrariamente alle premesse – Massimo si è aperto, appassionato, stupito, emozionato, divertito tutto con generosità. E si è anche commosso. Lo ha fatto parlando dei suoi figli, della sua prima maestra ai fornelli, Lidia Cristoni un’azdora d’altri tempi. Si è commosso rammentando l’incontro con Lara e parlando di suo padre, scomparso da poco, amato e contrastato divenuto suo più autentico critico e fan al contempo. Poi mi invitò a pranzo. E lì fui io a commuovermi: mai tortellino, bollito non bollito, stagionatura di parmigiano furono in grado di rimettere al mondo il mio stomaco. E l’anima. Una musica. Il papà di Massimo sarebbe fiero della terza stella che gli è stata conferita quest’anno. Un riconoscimento annunciato dal premio come migliore chef del mondo 2010 e da una medaglia che il suo Comune (di Modena) gli ha appuntato sulla giacca. Un gesto senza precedenti in Italia.

Ho incontrato Massimo una settimana prima che la Guida rossa Michelin lo ufficializzasse tristellato: aveva lo stesso sguardo perso nelle note musicali che gli riempiono la testa nella buona e nella cattiva sorte. Perché per arrivare nell’empireo della gastronomia internazionale, Massimo non ha mai scelto la via più facile, né la più comprensibile ai più. Un po’ come il suo beniamino Thelonius Monk (al quale ha dedicato un piatto sublime): «Suonerebbe qualcuno dei suoi strani accordi per la classe?», «Che cosa intende con strani? Sono accordi perfettamente logici» (conversazione tra Thelonius Monk e un insegnante della Columbia University – da Hentoff, Jazz Life 188).