Un suino dai ‘nobili lombi’ 31 Agosto 2011 – Posted in: Archivio

Perché le sue carni possano esprimersi al meglio esige spazi bradi o almeno semibradi dove poter grufolare indisturbato inoltrandosi nella macchia boschiva a caccia delle predilette ghiande di roverella, ma essendo di vorace appetito sa adattarsi perfettamente a ciò che trova senza bisogno di perdersi in cavilli essendo ghiotto anche di castagne, pinoli e dei rovi del sottobosco.

Se lo chiudi però in un piccolo recinto, come succede a tanti suoi affini, cala d’umore e si fa triste, essendo poco propenso ad adattarsi a una cattività obbligata. E gli effetti non tardano a farsi vivi anche nel corpo visto che la tosta muscolatura perde di tono e come conseguenza le sue carni precipitano nella serialità, perdendo in gusto, in carattere, in tipicità.

Insomma la Cinta senese, pregiata razza suina recentemente tornata alla più alta considerazione dei gourmet grazie all’attenta opera di recupero messa in atto da una ventina di anni da un esiguo gruppo di illuminati allevatori, ha doti alimentari di grandissimo pregio ma la sensibilità di una prima donna che per rendere per quanto sa ha bisogno che le siano riconosciuti i propri diritti.

Oggi, dopo un pericolosissimo rischio d’oblio, causato dall’abbandono delle campagne durante gli anni ’60 e soprattutto dalle mutate concezioni allevatorie, la nostra è tornata a godere di una rinnovata fortuna, la stessa che per quasi un millennio (sembra che addirittura fosse già allevata in età romana) l’ha accompagnata sulle tavole dei senesi e dei fiorentini e anche su quelle dei romagnoli e dei lombardi (che ne importavano le gustose carni).

La Cinta del Buon Governo

La Cinta (cintura, cinghia, cintola), così toscanamente definita per quel singolare collare bianco che le circonda interamente il tronco all’altezza del garrese e che risalta sul resto del manto nero-ardesia, può vantare attestati iconografici di gran pregio, come ogni vera regina che si rispetti.

Tra il 1338 e l’anno seguente uno fra i primi pennelli di Siena, Ambrogio Lorenzetti, fu incaricato dal Governo della città di dipingere nella Sala del Consiglio dei Nove un grande ciclo di affreschi che illustrassero le conseguenze di un Buono o di un Cattivo governo. Un tema sociale, educativo, didascalico per la popolazione senese. Nacque così una grande, realistica, credibile allegoria ch’è uno fra i capolavori della pittura primitiva Toscana. Una rappresentazione mossa da fini civili e morali ma non moralistici.

Ecco, proprio in un frangente del dipinto risalta un dettaglio inequivocabile.
Dal castello un cavaliere esce a caccia con tanto di cani al seguito e incrocia un villico che con un rametto di legno cerca di condurre per la retta via il suo verro, che ha corpo asciutto e raccolto, un muso grifagno, simile a quello del cinghiale e un vistoso collare di pelo bianco, che ne incornicia i garresi, la groppa e il petto. E’ una Cinta senese, già al tempo allevata con favore nella zona proprio perché originaria dell’area della Montagnola Senese, compresa nel territorio dei comuni di Monteriggioni, Sovicille, Gaiole, Castelnuovo Berardenga e Casole d’Elsa.

Ma la Cinta del Lorenzetti non è l’unica ad essere assurta agli onori della pittura visto che “altre rappresentazioni di suini con cinghiatura bianca appaiono in dipinti e affreschi della scuola senese del XII secolo in diverse chiese della campagna di Siena”.

Un suino dalle carni eccellenti

Prosciutti e insaccati di qualità assoluta quelli prodotti dalle carni della Cinta senese. Così le descrive Paolo Parisi, apprezzato gourmet che oltre venti anni or sono fu uno dei primissimi coraggiosi allevatori a scommettere sul rilancio del nostro suino.
Cediamo volentieri a lui la parola sulla qualità di questi carni prelibate:

La cinta senese è ideale per la salumeria: un capo presenta il 30-35% di grasso, la cui quantità, contrariamente alle credenze popolari, è direttamente proporzionale alla bontà della carne. Al contrario un maiale da allevamento intensivo ha di solito il 5% di grasso, e una carne molto più acquosa.

Il grasso ha un aspetto untuoso, trasparente, di consistenza quasi burrosa di colore grigio ghiaccio e non bianco saturo. Le parti magre appaiono marezzate da sottili venature di grasso. Questo conferisce una struttura morbida.
La morbidezza è data da un impercettibile alternarsi di fibra e particelle di grasso ad olio”.