I campi del Chianti si tingono di viola 27 Luglio 2011 – Posted in: Archivio

Le api e la lavanda

Uno scambio reciprocamente favorevole

È il tempo giusto per vederla e per raccoglierla. Le api lo sanno. Il miele che ricavano dalla lavanda è il più pregiato e loro suggono polline facendo del bene anche al fiore: quelli visitati dalle api producono il 20 per cento in più di essenza. Quando hanno concluso, si allontano in gruppo segnalando ai coltivatori che è tempo di raccolta. È uno spettacolo che la natura offre ogni anno: pittorici campi di lavanda e sciami di api al lavoro.

Ero abituata a pensarlo in Francia e invece quest’anno l’ho visto in Toscana.

 

Sarà che il movimento impressionista è nato a Parigi e che i macchiaioli in Italia furono considerati solo un’espressione parallela, fatto sta che a noi, e buona parte del mondo, se dici campi di lavanda vengono in mente quelli dipinti dai pittori francesi in vacanza nei lidi provenzali. È pur vero che là i terreni coltivati sono sconfinati, ma non è minore l’effetto da sindrome di Sthendal che procura la visione dei prati tinti di blu in contrasto con colline brulle in piena estate per esempio nel Chianti senese, noto per il vino e un certo stile di vita discreto e nobile, ma non per la coltivazione dei fiori blu. Fascino, quella della lavanda toscana, che da queste partI è accresciuto da una natura più intatta che altrove. E se ti fermi a parlare con la gente capisci perché in queste zone gli eredi degli etruschi hanno saputo conservare al meglio spazi e tradizioni, facendo tesoro di ogni piccolo lembo, di ogni piccola storia. Come quelle che girano intorno al piccolo fiore lilla.Lavanda a Fonterutoli

Le 40 lavandule

Il genere si chiama lavandula e include circa 40 specie originarie del bacino del mediterraneo, diffuse dalle Canarie all’India. La più comune in Europa è la lavanda angustifoglia o officinalis (c’è anche il lavandino: un ibrido meno pregiato) che predilige le zone brulle e a composizione acida: è lì che si distribuisce un po’ anarchicamente formando la gariga, tipica macchia di colore. Gli etruschi, farmacisti eccelsi, conoscevano le proprietà antisettiche, analgesiche, antinevralgiche e perfino sedative (era usato anche per combattere il singhiozzo!). Tanto che se ne andavano per le strade dell’antica Roma con gli ariballi, contenitori speciali in vetro, ceramica o alabastro, ricolmi dell’unguento ricavato dalla lavorazione di petali, che vendevano ai goduriosi signori dell’impero sempre alle prese con questioni digestive. L’uso in profumeria, già conosciuto tra i romani che sempre grazie agli etruschi spargevano i petali nell’acqua del bagno, diventa ufficiale nel periodo elisabettiano, tra il 1500 e il 1600, quando nasce The lavander, prendendo spunto da un costume diffuso tra le dame: mettevano tra i loro abiti mazzetti di lavanda essiccata e quando li indossavano spargevano l’aroma tutto intorno. È da lì che viene anche l’usanza dei sacchetti profumati tra la biancheria (oltretutto repellente contro le tarme). Quelli che oggi sono ancora confezionati a mano in certi agriturismo toscani o in tenute nobili dove la lavanda trova una declinazione ampia: dalla cosmetica alla cucina, ripescando tradizioni e usi, che solo chi ha un veritiero amore e rispetto per la propria terra e la sua storia sa mettere in circolo.

Noi abbiamo scelto l’Essenza e la Crema Fluida Corpo della linea Lavanda del Chianti di Carla Mazzei.