Lardo di Colonnata 9 Maggio 2010 – Posted in: FOOD

colonnataIl lardo, non il marmo bardiglio nuvolato, tiene alto il nome di Colonnata nel mondo. Era il cibo dei cavatori, da affettare sottile col ferro tagliente e chiudere tra due strisce di pane bigio di Vinca. Era il companatico che calmava la fame di ogni giorno con l’energia necessaria ad affrontare lo sforzo degli scavi, la tensione del pericolo e la disperazione della miseria. Colonnata sta in alto, sette chilometri sopra Carrara, col cuore nel marmo. Ci si arriva turbati, dopo un breve tragitto, tanto comodo quanto emozionante. Non è la strada a togliere il respiro ma la visuale all’intorno, fatta di giogaie bianche, prima sfregiate e ora rimarginate dai ravaneti, di quinte sbreccate, secche e lucide, di pareti solcate da fendenti, fino agli inquietanti canaloni di Colonnata, un monte di zollette di zucchero ramazzato in un angolo.

È tanto lunare l’ambiente quanto è terrestre il lardo che qui viene generato, fin da quando iniziò l’estrazione del marmo da parte dei Romani. Per conservare la carne di maiale, l’uomo ha escogitato mille sistemi, quasi sempre condizionato dalla disponibilità della natura e dal clima. A Colonnata, già la prossimità della costa, l’esposizione ai venti e l’altitudine vengono in soccorso alla risorsa naturale che era ed è “la pietra”. Alla roccia bianca e preziosa che assicura il pane col lavoro, quando non è degna della mano dello scultore, si apre un insolito scenario, tanto elevato quanto inedito. Qui non si allevano maiali (storicamente se ne compravano le schiene dagli fattori del Casentino, del Chianti e del Mugello) ma si crescono lardi, sorprendenti e saporitissimi. Vitto corposo per gli operai delle cave, primancòra cibo dei legionari romani, degli schiavi al lavoro forzato. Era lardo sotto sale anche l’unico companatico degli anarchici che sopravvissero su queste montagne dopo i moti del 1894. Ancora oggi, dai grossi blocchi di marmo, si ricavano le conche, sempre più spesso fatte di lastre assemblate ma un tempo scavate all’interno. Le vasche vanno frizionate a lungo con aglio per perfezionarne l’impermeabilità e infondere sentore. Il fondo di ogni conca viene quindi asperso con sale marino, pepe, cannella, chiodi di garofano, coriandolo, salvia, rosmarino (ma ogni lardaiolo ha la sua formula segreta che interpreta in modo personale una matrice comune) e finalmente su questo giaciglio si coricano bianche falde di lardo inframmezzate ancora da aromi. Una volta riempite, le conche vengono chiuse da un coperchio di legno per essere riaperte dopo una settimana per il rabbocco della salamoia sviluppatasi spontaneamente. Richiusa la vasca, non rimane che aspettare da sei (minimo) a dodici (meglio!) mesi il miracolo della compiuta maturazione. Solo allora il lardo che esce dalle conche ha quel profumo e quel sapore che lo rende inconfondibile e unico. Pieno di essenze profumate, è candido, morbido e prodigiosamente dolce, malgrado la profusione di sale dispersa nella salamoia. Se è vero che l’aroma di un cibo non è una sostanza inerte, ma un principio dotato di ca-pacità biologiche nutritive, si capisce perché gli anziani del posto attribuiscono al lardo di Colonnata precise virtù terapeutiche.

Ma quanto se ne produce di lardo a Colonnata? Ufficialmente le “conche”riconosciu-te dalla IGP sono circa 500, in proprietà a quattordici produttori che ne immettono sul mercato mille quintali l’anno. Son tante cento tonnellate di lardo! Soprattutto se si considera che fino a pochi anni fa erano rimasti solo in 4 a fare i lardaioli in paese. Ma sono sicuramente molte di più le tonnellate di lardo che millanta la sua origine nel comune apuano e con cui ogni giorno si arricchiscono enotecari sleali e pizzicagnoli disonesti. Ne sa qualcosa quella società spagnola che vendeva (il passato è d’obbligo) quantità industriali di lardo iberico refrigerato, ad alcuni affaristi di Massa e Montignoso. Forse è un’esagerazione quella di chi sostiene che solo il 4 o il 5 per cento del lardo “di conca” abbia qualcosa a che fare con Colonnata, ma per non far la figura dei gastro-grulli è buona norma pretendere sempre il marchio IGP sulla confezione e dedicare qualche istante a una lettura non superficiale dell’etichetta. Anche ad occhi bendati, la consistenza soffice, il profumo intenso e il gusto dolce basterebbero a differenziarlo da tante, troppe indegne imitazioni. Sicuramente il prezzo – ai mascalzoni, si sa, fan gola solo gli spiccioli – è indicatore del valore.

Colonnata è un dedalo di vicoli e viuzze, dove lo spostamento del lardo viene fatto a mano. Ma non basta. La produzione di qualità è strettamente stagionale (settembre – maggio), i costi di manodopera sono elevati, la stagionatura è lunga e la domanda supera sempre l’offerta. Si, fare il lardo, a Colonnata, costa fatica quasi come cavare il marmo. Basta e avanza per giustificare un prezzo di molto inferiore a un non sempre dignitoso prosciutto da supermercato.