Vi è qualcosa di sacro nell’arte e, anche quando l’artista non ne è consapevole, sta compiendo una liturgia del mistero.
GLI AUTORI
Alfredo Chiappori, Giuliano Collina, Cesare Colombo, Claudio Destito, Luigi Erba, Giansisto Gasparini, Nino Lupica, Tino Stefanoni, Valentino Vago, Giancarlo Vitali
Introduzione di Barbara Cattaneo, direttore del Polo Museale di Villa Manzoni.
La mostra Riflessi della fede nell’arte contemporanea, non vuole costituire una rassegna di arte sacra, ma l’avvio di una riflessione sul rapporto tra questi due temi fondamentali, nel tentativo di indagare sulle possibilità di coniugazione tra Arte e Fede oggi. L’arte è da sempre stata espressione della religiosità di un popolo, del rapporto tra l’uomo e la divinità, a partire dalla preistoria, a tutto il mondo antico. Dagli Egizi, ai Greci, ai Romani, la pittura costituisce, dapprima, un elemento votivo e propiziatorio, successivamente si pone come rappresentazione e passaggio dalla terra all’aldilà, arrivando alla realizzazione di grandi templi in cui l’uomo glorifica la divinità con offerte, preghiere e sacrifici. La Cristianizzazione e la sua diffusione in tutto il mondo, per circa duemila anni, pongono al centro dell’arte la religione e la rappresentazione dei dogmi della fede, dando vita a grandiose composizioni che elevano lo spirito oltre la terra, cui si aggiungono fini divulgativi e d’insegnamento, accessibili a tutti, come i “Sacri Monti“, biblia pauperum, sintesi perfetta di pittura, scultura e natura, nella simbolizzazione del cammino dell’uomo verso la “Gerusalemme Celeste“. Tutti dai bambini agli anziani, dagli uomini di cultura al contadino, dal nobile all’ultimo degli ultimi, erano in gradi di leggere l’iconografia religiosa, dagli episodi biblici, agli attributi identificativi dei santi, in quanto la società era profondamente permeata di fede.
Contributo di Gian Luigi Daccò: Riflessi della fede nell’arte contemporanea
E così, in mostra, si va da autori come Collina e Vago, la cui produzione pittorica è contrassegnata dalla scelta del tema del sacro ad altri come Stefanoni, Destito, Lupica che molto raramente, o mai, si sono confrontati con questi temi. I lavori di Tino Stefanoni e Claudio Destito perseguono una linea in cui i concetti e le idee espresse sono più importanti del risultato estetico e percettivo dell’opera stessa. Il lavoro del primo, pervaso di sottile magia, pur non appartenendo in senso stretto a quello dell’arte concettuale, di fatto si è sempre sviluppato nella stessa area di ricerca, mentre il secondo, attento anche all’arte minimale, gioca costantemente sull’ironia. Il sacro connota invece la produzione pittorica di Collina e di Vago: Giuliano Collina, pure in questo ambito, persegue una ricerca linguistica dove il soggetto appare essenzialmente come uno spunto per dispiegare la gioia del dipingere. Valentino Vago, uno dei più significativi artisti della pittura italiana di questi ultimi decenni, resta inconfondibile per la qualità della luce e la liricità del segno. Anche due autori molto diversi come Gasparini e Lupica hanno accettato di confrontarsi, qui, sul rapporto tra fede ed arte. Nino Lupica, artista di fantasia barocca, entra con segno forte in questa materia per lui inusuale, Giansisto Gasparini dai lontani temi urbani e sociali, alla recente attenta meditazione sulle montagne, ritrova il filo di un discorso che aveva cominciato a dipanare, molti anni fa, nelle vetrate delle sue chiese di Voghera. Completano la rosa altri due estremi della concezione dell’arte. Da una parte Alfredo Chiappori, geniale ed eclettico outsider che ha saputo imporre all’establishment le sue strisce satiriche, i suoi romanzi, il suo teatro e, negli ultimi anni, inusuali riflessioni su libri della Bibbia poco conosciuti dal grande pubblico, come Bereshit o il Qohelet. E infine Giancarlo Vitali, il pittore-pittore, a tutto tondo, che ha affrontato da maestro, in profondità, ogni tema, sicuro dei suoi mezzi e della sua vocazione, senza, mai, un compiacimento. Uomo lombardo, figlio della grande tradizione figurativa delle Prealpi, come scrive Mario Botta, “dove le figure sono parti che interagiscono in totale osmosi con la luce e le configurazioni della geografia, dove le masse potenti dei monti approdano sui piani orizzontali delle acque dei laghi; per questo è impossibile immaginare il nostro pittore al di fuori di questo contesto”. Si sono voluti tra gli autori anche due fotografi: Cesare Colombo e Luigi Erba.
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