Milo Melani. Oltre il Neorealismo, verso un autonoma espressione plastica 10 Dicembre 2015 – Posted in: ART

Il contributo di Francesco Gurrieri dell’Accademia delle Arti del Disegno introduce il catalogo di Milo Melani.

Di fatto, Milo esordisce pubblicamente alla pittura nell’ambiente pistoiese del Dopoguerra. In una realtà, cioè, intensamente presente alla cultura artistica, ove il dibattito era tenuto vivo da Pietro Bugiani, Jorio Vivarelli e, in qualche modo, da Giovanni Michelucci e Marino Marini. Pistoia ha sempre saputo essere un crogiolo di esperienze artistiche ininterrotte. Così, il giovane Milo si forma al paesaggismo del tempo: di Soffici, di Rosai e a quello – più dolce e meno problematico – del Bugiani. Poi, il passaggio della guerra, la sua asprezza, il sopraggiungere del neorealismo letterario, cinematografico, pittorico. Né basta il generoso tentativo degli astrattisti (con a capo ancora un pistoiese, Gualtiero Nativi) a spostare l’asse dominante (politicamente ancor prima che culturalmente) dei neoreliasti. A livello nazionale Renato Guttuso impera dalla sua salda sede romana; in Toscana è Fernando Farulli a timonarne la rotta. Così, ai farulliani altiforni di Piombino (ove i neri e i blu la faranno da padroni) Milo risponde con i suoi “Gasometri” di periferia urbana e con le sopravvissute Motrici a vapore in qualche angolo abbandonato di stazione ferroviaria minore.
Più tardi, quando Guttuso passerà ai suoi corposi nudi (pressoché di un’unica modella) e altrettanto farà Farulli, ancora una volta Milo non sarà da meno: e forse con diversa grazia plastica (e umanità) a fronte delle metalliche prestanti figure degli altri due maestri. Poi ancora, Milo, abbandona codeste strade (per lui ormai aride ed improduttive), per intraprendere una pittura di ‘dettaglio’, di impressione quasi all’istante: è l’effetto “Monasteraccio”: la nuova residenza, dopo aver lasciato Le Campora, dove troverà nuova ispirazione per gli ultimi decenni. Al Monasteraccio sboccerà la passione per la scultura. Una scultura personalissima, fatta di cartone (impregnato di gesso e vinavil, durissima), costruita pezzo a pezzo, tagliato con le forbici e posto ‘in addizione’ a conformare la figura. Il prototipo fu una piccola Nike, poi via via, soggetti classici complessi: dalle metope del Partenone all’Ercole Farnese, dalla Venere Callipige allo splendido Fauno. Una stagione memorabile, un rinnovamento plastico e di tecnica artistica, a cui, forse, non fu estranea la sua esperienza nella scenografia teatrale. Alcune di quelle parti conformanti la figura ricordano le pennellate futuristiche di Boccioni. E forse, così fu: Milo volle cercare un suo modo espressivo, in mare aperto: quel mare che era parte profonda della sua vita.