Il mio Natale 20 Settembre 2012 – Posted in: BOOKS

La prefazione di Lisa Corva al nuovo titolo della collana iVitali, Canto di Natale.

Nei Natali della mia infanzia non c’era Babbo Natale, ma solo la Befana (che peraltro, come tutti sanno, arriva decisamente dopo). Forse per questo mi ha fatto sorridere vederli insieme nel racconto di Andrea Vitali, pensionati riluttanti con vista lago, insieme alla Cicogna Che Portava i Bambini e al Topolino dei Denti. Non c’era Babbo Natale nel mio Natale, e neppure Gesù Bambino: forse perché sono nata a Trieste, in una famiglia non particolarmente cattolica (mai stata alla messa di mezzanotte), e sparsa per tutta Italia. Quindi le sere della vigilia erano soprattutto una scusa per allestire, con nonni, zii, e cugini, un vero e proprio palcoscenico di Natale. Tavola imbandita, certo. Ma anche l’albero (quello vero), e un presepe gigante che occupava tutta la credenza: gli specchietti dimenticati nelle vecchie borse facevano da laghi, il bosco era muschio vero, e una carta blu fondente con stelline dorate diventava un magico cielo.

Quasi un’installazione della Biennale. Logico che non ci fosse spazio per altri personaggi, in queste rappresentazioni del Natale. E infatti la Befana arrivava dopo, molto dopo, a casa, il 6 gennaio: una calza appesa non al camino, che nella Milano della mia infanzia esisteva solo nei libri di favole; ma, più prosaicamente, alla cappa aspirante della cucina. Eppure la Befana portava un sacco di cose: regali, monete di cioccolato, dolcissimo carbone di zucchero, e una volta anche del carbone vero infilato a tradimento. (Un’idea black humor di mia madre. Io ci rimasi malissimo; ma è vero che, come si dice a Trieste, avevo e ho tuttora le “lagrime in scarsèla”, le lacrime in tasca).

Torniamo alle notti di Natale. Notti dell’infanzia, belle sempre: scintillano luminose, anche nel ricordo, come quelle stelline da due soldi sulla carta blu. Poi sono arrivati altri Natali, più faticosi. I Natali da aspirante madre, in cui mi chiedevo che senso avesse festeggiare, e addobbare un albero, se non c’erano bambini miei ad ammirarlo. I Natali passati a odiare una cicogna che si era persa per strada, e che evidentemente conosceva solo gli indirizzi delle mie amiche (non sapevo che si fosse ritirata a Vistalago, come ho scoperto leggendo il racconto di Vitali: altrimenti mi sarei precipitata a bussare alla porta, invece di perdere tempo in sale d’attesa di ospedali e cliniche contro la sterilità). Ma da quegli anni, e da quelle avventure dolci-amare, è nato comunque il mio primo libro: forse è questo che aveva in mente la cicogna pensionata?

E poi ci sono stati i Natali in giro per il mondo. Natali passati ad addobbare una palma a Sydney; a camminare scalza su una spiaggia in Thailandia; a guardare sbigottita studenti di college con il cappello rosso di Babbo Natale, quasi scontrarsi per strada con dei giovanissimi monaci buddisti in Laos. Natali foresti pensando che, tutto sommato, potevo mettere in valigia almeno un micro panettone. Questa è la notte di Natale per me adesso: un puntino su una carta geografica, una destinazione, un’avventura. Insieme all’uomo con cui divido i sogni e la vita. Forse anche lui ha, dentro, una carta stellata.