La luna storta del bindolo Manera 31 Ottobre 2011 – Posted in: ART, BOOKS

Stralunario (Andrea Vitali, Giancarlo Vitali)Il contributo di Leonardo Castellucci a Stralunario.

La rappresentazione di una piccola commedia del quotidiano. È questo il dato più evidente che emerge da Furto di Luna, il racconto che Andrea Vitali ha scritto per questo nuovo titolo della collana. Fin dal principio entriamo immediatamente nel contesto, senza essere introdotti da prologhi descrittivi o da altri orpelli narrativi. Si comincia così, con i toni secchi di una malinconica dichiarazione: “Quando nacque, suo padre era in galera. Furto di elemosine presso la chiesa prepositurale di Bellano”. E già i due protagonisti, Beppe Manera, di professione ladro, poi ravveduto e suo figlio Manuele sono presentati sulla ribalta del racconto e con loro anche il teatro della rappresentazione, Bellano, il piccolo centro lacustre dove Vitali è solito ambientare i suoi romanzi. Subito dopo, alla spicciolata, gli altri personaggi. Venera Sbiaditi, moglie del ladruncolo e madre del bambino e le comparse, utilissime a delineare il ‘clima’ e la dimensione temporale della storia che si svolge durante gli anni ’60, in quell’Italia ancora in b/n ma già prefigurata con frigorifero, lavapiatti e televisore, al tempo gli status sociali cui ambire. Ma si sa, nei piccoli paesi di provincia i cambiamenti sono più lenti ed è qui che lo scrittore introduce gli elementi di contorno riuscendo a dar loro lo spessore di una quotidiana consuetudine ch’è quella di una piccola comunità dove tutti, ogni giorno, si incontrano e dove i ruoli che ciascuno ricopre sono succedanei al rapporto umano. E dunque ecco che il Maresciallo Manabotti, anche se poco più che ricordato, richiama la bonaria personalità di un carabiniere ligio al dovere ma dal cuore tenero; Gaspare Benincerti, il fotografo/ritrattista, si fa immaginare nella sua orgogliosa bottega con tanto di treppiede e banco ottico da esibire ai matrimoni più abbienti; che del Bigé, lo scaccino, termine antiquato per definire un sagrestano molto di famiglia, sembra perfino di intravedere la figura allampanata e un po’ stordita e che del Cassamano, il custode delle carceri, azzeccato soprannome che toglie al personaggio quella patina grigia che la sua attività gli affibbia, si può intuire tutta la frustrazione per un lavoro che non gli piace. E poi, soprattutto lei, la Venera, paradigma di molte giovani e rassegnate ragazze, non belle, non brutte, già spente in giovinezza, d’indubbia moralità, devote per cultura familiare ed educazione all’uomo che farà loro il dono di portarle, preferibilmente illibate, davanti all’altare dell’Altissimo per sancire davanti a Lui un’eterna promessa d’amore.

Stralunario (Andrea Vitali, Giancarlo Vitali)Una vita che scorre lenta, in un arcaico ordine di ruoli e di ridimensionate attese dove si insinua l’affascinante virus del bindolo Beppe Manera, un picaro dei nostri giorni, vorremo dire, un abile e astuto avventuriero, più che un ladruncolo improvvisato da commedia all’italiana perché non pare lo scoglionato ex boxer impersonato in quegli anni da Vittorio Gassman o il tenero ladruncolo della domenica e premuroso padre di famiglia, incarnato da Marcello Mastroianni nell’esemplare pellicola monicelliana de I Soliti Ignoti. Un’intelligenza, viva, dialettica, quella del Manera, una parola affabulante, una ricca sequenza di ‘maschere’ da mettere alla bisogna, per la necessità di sbarcare il lunario ma anche per il gusto di fregare il prossimo, che in certi animi nasce come contrappeso alle difficoltà patite e forse, lascia intendere fra le righe lo scrittore, per una connaturata incapacità di stare dentro un percorso ordinato, previsto, osservante. Insomma un ladro di provincia con vocazione al non fare, che esce ed entra dalle patrie galere quasi che queste fossero una sua seconda casa. Un essere più amorale che immorale, che quando, per scommessa, seduce Venera, mettendola incinta, si vede costretto al matrimonio riparatore che gli darà un’occasione di riscatto ma non di ravvedimento perché lui, il Manera, è uno nato storto e in questo senso, sempre per restare negli anni della storia e a quella filmografia, il Manera, sembra più un personaggio de I Mostri di Dino Risi, una figura ‘borderline’ che presenta la parte più oscura della nostra umanità. La storia, quella del dettaglio degli accadimenti, si dipanerà attraverso alcuni momenti topici che lasciamo al piacere della lettura.

…e quella immaginata per suo figlio Manuele

E Giancarlo Vitali questa volta sembra ancorarsi alla conclusione del racconto, quasi raffigurando per il figlio del Manera, alla fine forse consapevole della bugia del padre, a cui tuttavia riesce ancora a credere, una luna immaginata da occhi puri, in un universo ignoto e senza limiti. Il sogno della luna. E nasce così un universo atemporale dove forme inconsuete sono pronte a svelarsi al sentimento della fantasia di un bambino. Piccoli sogni cartacei dedicati a quel satellite che ogni giorno, per ogni giorno della nostra vita, ci guarda da vicino agendo da ponte fra la nostra condizione terrena e l’infinita possibilità dello spazio. È una luce buona e dolce quella della luna, che ci permette di vedere senza dover strizzare gli occhi, scaldandoci prima di entrare nel segreto del sonno. Questo sembra voler dire Giancarlo Vitali con la sua immaginifica sequenza di lune, quasi proponesse uno stralcio dell’impossibile declinazione di un soggetto dall’ignoto linguaggio. E per farlo si proietta nel suo spazio (crediamo molto simile a quello del piccolo protagonista del racconto), andandola a incontrare, guardando con lei la Terra e il firmamento in cui galleggia senza peso. E va oltre, sbarca su quel terreno ignoto, come quei primi astronauti del ’69 e la descrive, in un’invenzione che rasenta la libertà dell’informale. Per farne vedere la bellezza al figlio del Manera e forse per svelarla anche a se stesso.