Le paure del giovane Carlo Cracco 25 Agosto 2011 – Posted in: FOOD

Sfida e velocità: Carlo Cracco è questo.

La sua storia lo racconta: «Quando ho iniziato io l’alberghiera, alla fine degli anni Settanta, il cuoco lo faceva l’ultimo degli sfigati, oggi mi prendo la rivincita.

Conta quello che sei ora.

Non serve a nulla quello che eri e che hai fatto.

Serve come percorso, per crescere e capire dove vuoi andare, ma non è che se hai avuto successo una volta ce l’avrai per sempre. Il punto è continuare ad averlo. Oggi posso essere un bravissimo cuoco e domani non esserlo più.

Per questo vado veloce e guardo avanti.

E anche per un’altra ragione: ho paura di non essere bravo, se arrivo prima posso correggere gli errori sperando che nessuno se ne accorga».

È una delle piccole confessioni che Cracco mi ha affidato sorridendo durante la nostra lunga chiacchierata, mentre raccoglievo le interviste per scrivere Spiriti Bollenti . La sua capacità di trasformare in positivo ciò che per qualcun altro potrebbe diventare una iattura è la forza di Carlo: «Se c’è un problema c’è anche la soluzione. Se non c’è soluzione, perché porsi il problema?». Così è quella “paura” che lo guida nelle scelte, che risultano incomprensibili ai più: «Scelsi l’alberghiera perché volevo viaggiare e decisi di frequentare quella di Recoaro Terme, motivato da un’unica ragione: oltre ad essere fuori Vicenza, si trovava in un palazzo viola con la cucina che si vedeva dalla strada. Non avevo mai visto una cosa così esteticamente “avanti”. Piaceva solo a me. Nel tempo, l’esperienza mi ha dimostrato che quando le persone non mi capiscono vuol dire che sono nel giusto».

Anche usare le tradizionali ferie agostane in cui chiude il suo ristorante a Milano, per andare a cucinare in Versilia al Principe di Forte dei Marmi – per uno, due, ora cinque tavoli a sera – è stata una scelta che ha spiazzato chi gli sta intorno, anche per via di un menu che strizza l’occhio ai prodotti e ai piatti locali. Chi se lo immaginava l’algido Cracco, super chef metropolitano, in versione casual, soppesare ed elogiare triglie e arselle al mercato! Pesci di cui molto sa ma, come pare si sia ripromesso, di più vuole imparare andando a parlare con esimi colleghi che in quel territorio da oltre quarant’anni tengono alta la cultura gastronomica locale. In un’intervista al Tirreno, Cracco ha detto che la sua è una collaborazione a un progetto che si svilupperà nel tempo. Conoscendo la sua “dipendenza” da sfide e velocità, c’è da pensare che abbia fiutato una rinascita ancora in embrione dei fulgidi tempi in cui la Versilia era meta di un firmamento destinato a lasciare una solida scia nel panorama culturale italiano (si pensi a Mario Monicelli).

E che Cracco sia parte di un firmamento destinato a lasciare una solida scia non lo può negare nessuno, neppure chi ha molto da ridire sul suo approccio scostante, poco disponibile alla chiacchiera, arrogante. È vero, è un tipo difficile da trattare, se non si va oltre la forma, ma è come i suoi piatti: «Io sono un po’ come le uova, all’apparenza un guscio e la cosa più lineare del mondo, ma se le lavori ci trovi dentro un mucchio di emozioni». O l’anima di un cantante rock, segreto desiderio mai realizzato. Ma quando si tratta di Carlo Cracco, mai dire mai.