Una storia di Lecco. Dall’età del Bronzo al mondo globale 5 Giugno 2014 – Posted in: BOOKS, TRAVEL

Una storia di LeccoL’introduzione dell’autore Gian Luigi Daccò alla pubblicazione Una storia di Lecco.

Una storia di Lecco non è mai stata scritta: soprattutto negli ultimi decenni si sono moltiplicati gli studi, in particolare sulla storia economica della città, ma manca ancora oggi un’opera di sintesi. E questo vale a maggior ragione per tutto il periodo che va dalle origini all’Età Moderna: la storiografia medievale del contado di Milano, di cui la nostra città faceva parte, si è sempre disinteressata delle forme di organizzazione delle comunità, delle vicende economiche e politiche dei centri minori come Lecco; in fondo, quando si parlava della storia del contado milanese lo si faceva soltanto per valutarne i riflessi sulla vita politica ed istituzionale della metropoli, vizio comune della ricerca italiana. A queste impostazioni tradizionali che da sempre hanno trascurato il ruolo dei centri più importanti del contado milanese tra cui Lecco, va aggiunta la oggettiva mancanza di atti pubblici, dovuta alla dispersione degli archivi, comunali ed ecclesiastici. La scarsità della documentazione non consente un’analisi delle vicende di Lecco, se non in via indiziaria.

Per il Medioevo disponiamo quasi soltanto di atti privati e delle notizie frammentarie e spesso contraddittorie dei cronisti dell’epoca che si occupano esclusivamente di Milano e delle altre città, mentre al Lecchese dedicano solo pochi accenni, casuali ed incerti. Inoltre nel XVIII e XIX secolo, se si esclude Giuseppe Arrigoni, è mancata per il nostro territorio la lunga e meritoria fatica degli eruditi locali che, per le altre città lombarde, hanno realizzato un’enorme mole di lavoro utilizzando gli archivi di antico regime e degli enti ecclesiastici, allora ancora disponibili.

Questo tentativo non è tanto un libro di storia locale ma di microstoria, e vedo di chiarire: che Garibaldi abbia dormito a Lecco due o tre volte o che Federico Barbarossa ci sia passato o meno, possono sembrare alcuni dei fatti più importanti della nostra città, mentre si tratta di accadimenti quasi marginali. Viceversa, i dati degli archivi parrocchiali o comunali, degli atti di vendita, degli statuti, contengono notizie che, messe in parallelo con quelle provenienti da centri analoghi alla nostra città, nello stesso periodo, possono ricostruire pezzi importanti e significativi del nostro passato. Ad esempio restano i cartolari notarili, conservati presso l’Archivio di Stato di Milano, che possono dare un contributo fondamentale alla conoscenza della società, economia e istituzioni politiche di Lecco.

Un esempio innovativo di questo tipo di ricerca è dato dal recente Lecco viscontea. Gli atti dei notai di Lecco e del suo territorio (1343-1409).
Società, economia, istituzioni: cercherò di focalizzare questi ambiti, le vicende di storia politica e militare saranno un po’ marginali, anche perché relativamente importanti, viste dall’ottica di un centro medio-piccolo quale era la Lecco di una volta.
Tenterò anche di contestualizzare i dati così ottenuti in ambiti più vasti e significativi e, quindi, l’opera è scandita in testi di carattere locale e altri di inquadramento più generale. Così, esaminando larga parte di quanto è oggi disponibile, cercherò di dire qualcosa, non basandomi su saggi di impostazione generale che non esistono tuttora, ma lavorando prevalentemente su fonti bibliografiche generali ed archivistiche attendibili.

Fili rossi di una storia
Lecco dalla sconfitta dell’ultimo conte (960) fino alle riforme austriache, aveva sempre fatto parte del vastissimo contado di Milano. Entrò nella provincia di Como nel 1786 e poi, stabilmente, insieme al Varesotto, nel 1816. E non è certo un caso che sia il Varesotto nel 1927 che il Lecchese nel 1992 si siano staccati da Como, città che costituì sempre per i due territori soltanto la sede amministrativa; tutti gli altri rapporti economici, culturali e religiosi continuarono a gravitare sempre su Milano. Il contado di Milano, per quasi mille anni, fu costituito dalle attuali province di Milano, Monza, Varese, Lecco e dalla Brianza comasca, una cosa nota a tutti e molto a lungo; per questo anche il sottotitolo dei Promessi Sposi è proprio Storia milanese del XVII secolo.
Pietro Verri nella sua Storia di Milano del 1783, parlando del contado milanese scrive: “… si distinguono Monza, Varese, Vimercato, Triviglio, Busto, Gallarate, Lecco, da noi chiamati Borghi, e che in altri Regni verrebbero chiamati Città”. In questo passo troviamo sintetizzati due dei più importanti temi del destino storico di Lecco dalle origini, in pratica, fino ad oggi. Il primo è costituito dall’opposizione del termine città (civitas) con il termine borgo (burgus).
Per tutto il Medioevo e in larga misura per l’Età Moderna la civitas, la città, è solo il centro sede di una diocesi e Lecco, come Monza o Varese ad esempio, fecero sempre e fanno tuttora parte della diocesi di Milano. Rimasero quindi borghi, non nel significato odierno di piccoli centri, ma in quello antico, in Lombardia, di realtà para-urbane di una certa importanza, ma non sedi vescovili.
Questi centri, come Lecco, nel Medioevo sono simili ai comuni di città e differiscono in modo sostanziale dal comune rurale, semplice aggregato di contadini. Dal XII secolo compare il termine burgus per designare l’intera circoscrizione di questi abitati. L’imporsi definitivo del termine burgus viene così a coincidere con un profondo cambiamento della struttura socioeconomica urbana, conseguente all’affermazione del regime comunale ed allo sviluppo di un’attività economica su scala preindustriale.
Gli stessi mutamenti di struttura e di uso lessicale si riscontrano in altri castra del Nord Italia che, come Lecco, pongono le basi della loro crescita a livello semiurbano nel XII secolo. Varese, ad esempio, che dal 1171 è detta stabilmente burgus Varisii, “il termine passa quindi a designare un centro abitato inferiore solo alle civitates di antica tradizione romana e si ha ragione di credere che tale inferiorità fosse spesso meramente giuridica”. Ma di questo parlerò più diffusamente in seguito. Il secondo tema che incontriamo nel passo di Pietro Verri è quello del rapporto tra Lecco e Milano. Le vicende storiche, economiche e culturali della nostra piccola città si intrecciano con quelle di una delle più grandi metropoli europee, Milano appunto, da sempre troppo vicina perché Lecco potesse sviluppare un suo ruolo distinto e abbastanza lontana da far tentare al centro lariano una sua specifica e autonoma identità.
Ulteriori fili rossi uniscono i vari periodi della storia di Lecco, delle costanti che ritroviamo perdurare per secoli, come le comunicazioni tra il Milanese e il Nord attraverso i passi alpini e quindi attraverso Lecco, e l’importanza della città come centro produttivo e manifatturiero, in un contesto generale prevalentemente agricolo. Infine la caratteristica più peculiare è la singolare forma urbis policentrica di Lecco che ritroviamo attestata con certezza dai primi documenti del X secolo fino ai giorni nostri. Nei documenti altomedievali il nome di Lecco non si riferisce a un particolare centro abitato ma comprende tutta la zona tra la Valsassina e il lago in cui esistevano diversi villaggi, vicinissimi tra loro ma ognuno con un proprio nome. I notai, infatti, rogano sempre “leuco vico quade”, “loco Coade de leuco”, “loco Arlengo de leuco” “actum in loco leuco, ubi dicitur a castelione”. E cioé “in Lecco nel villaggio di Acquate”, “nella località Acquate di Lecco”, “nella località di Arlenico di Lecco” e “rogato in Lecco nella località chiamata Castione”. Ancora alla fine del XIII secolo nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani di Goffredo da Bussero le chiese della Pieve di Lecco sono sempre riportate con la dicitura “in Lecco”: “Leuco ecclesia Sancti Proaxii” (la chiesa plebana di Castello), “Leuco ecclesia sancti Stephani”, “Leuco ecclesia sancti Gregori” e così via.
Un’altra costante che influì pesantemente sullo sviluppo della città, oggi fortunatamente persa, fu il suo fondamentale ruolo strategico che si mantenne dall’Alto Medioevo fino al 1782 e diventò soffocante dopo la Pace di Lodi (1454), quando Lecco divenne piazzaforte di confine tra il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia e resterà tale fino alla fine del Settecento.

Miti e luoghi comuni
Accanto alle costanti vi sono anche miti e luoghi comuni che creano una coscienza identitaria, e che, anche se non ce ne accorgiamo, influiscono sulle nostre scelte, soprattutto su quella politiche ed amministrative. Ogni comunità umana ha i suoi miti fondanti: Roma ne ha molti, da caput mundi a sede dell’Impero, Milano ha, o meglio aveva, quello di “capitale morale d’Italia”, le Colonie Americane di “eredi dei Padri Pellegrini del Mayflower” e così via. Lecco, molto più piccola, ne aveva almeno due: quello di “città manzoniana” e quello di “Manchester d’Italia”.
Il XIX è stato il secolo più fecondo di quella che Hobsbawn definisce “Invenzione della Tradizione”. Gli Stati nazionali che si costituiscono sono molto attivi in questo senso e, via via, questo processo riguarda anche le varie città che, in genere, ritrovano in un Medioevo di fantasia le loro “tradizioni inventate”. Lecco si inventa, allora, una tradizione del tutto letteraria e peculiare: quella dei “luoghi manzoniani”.
La topografia dei “luoghi manzoniani” tiene, per Lecco, il posto occupato da disfide, assedi, palii più o meno immaginari che, in tutto il resto d’Italia, consolidano il senso di appartenenza cittadina con l’invenzione di tradizioni ad hoc, come in Brianza i miti connessi alla regina Teodolinda, quelli del Carroccio e della Compagnia della Morte a Milano, dei Plinii a Como. Manzoni diventa il nume tutelare di Lecco: quasi tutti i comunelli lecchesi dell’Ottocento si dotano di vie dedicate a Renzo e Lucia, all’Azzeccagarbugli, a Don Rodrigo e perfino a Tonio e Gervaso.
Questa “tradizione inventata” non veniva affatto spesa sul piano turistico, ma solo su quello interno, come elemento di identità e orgoglio municipalistico.
Accanto a questo mito, in se’ positivo, come all’altro di Lecco “Manchester d’Italia”, alla fine dell’Ottocento si sviluppa invece, consistente, persistente, tenace, uno dei più perniciosi luoghi comuni su Lecco che ha pesantemente determinato la storia urbanistica e culturale della città.
Si tratta di un concetto tanto diffuso, ricorrente e famigliare da essere diventato, per molti lecchesi, addirittura ovvio. “Prima di dilungarsi sulle cose notabili le guide turistiche (dei primi anni del Novecento) premettono immancabilmente l’avviso, variamente formulato ma dello stesso tenore, che a Lecco non esistono monumenti. Gli estensori offrono una superficiale lettura […] secondo la tesi preconcetta che Lecco è un casuale agglomerato di case e casupole tra un reticolo di vie strette ed irregolari”.
I lecchesi svilupparono allora la tuttora persistente ossessione di non avere una storia propria, l’unica identificazione possibile era quella con i “luoghi manzoniani”, tutto il resto non aveva significato, né importanza. Sembrava ormai assodato e incontrovertibile che Lecco, conurbazione industriale senza passato, fosse una città proiettata verso un radioso progresso tecnologico ed economico. Questo disinteresse per il passato non era poi raro nel primo Novecento e non certo localizzato solo a Lecco, anche se da noi vantava una solida tradizione. Non si trattava neppure della consueta contrapposizione tra radioso progresso e oscuro Medioevo, sembrava semplicemente che a Lecco, per la maggior parte dei suoi abitanti, un passato non fosse mai esistito, o fosse tanto insignificante da non avere importanza.
Queste note tentano di dimostrare il contrario.

Gian Luigi Daccò