Vivida, che da quel giorno l’Andrea non fu più lo stesso 18 Marzo 2014 – Posted in: ART, BOOKS

Contributo di Leonardo Castellucci al 11° titolo della collana iVitali: Vivida mon amour

Vivida Breve romanzo di formazione in termini autobiografici potremmo definire la compulsiva vicenda che Andrea Vitali ci racconta in questo suo ultimo lavoro. Vicenda che per lui, al tempo appena laureato in medicina e scrittore alle prime armi, si rivelerà utilissima e da cui uscirà un po’ più smagato e magari anche più capace di accettare un insuccesso amoroso.
Il nostro un giorno s’imbatte in una bella coetanea per cui nutre un’immediata attrazione. La nostra è un soggetto difficile ma lui, pur di guadagnare il di lei consenso si sottopone a una vera sfida con se stesso. Troppo forte il fascino di quelle belle e eccitanti caviglie di cerbiatta, di quel promettente fondoschiena, di quello sguardo imperativo e perfino di quei modi spicci e mascolini da scaricatore di porto, per non azzardare il tutto per tutto. Questo sembra, leggendo le prime pagine di Vivida mon amour ma, via via che la storia si dipana, si capisce che quell’attrazione potrebbe per lui essere un amore possibile dove il desiderio è insieme frutto di una pulsione passionale e di un bisogno di proiettare un sentimento vero che si va definendo fra mille resistenze, dubbi, intromissioni, difficoltà di comprensione, incidenti di percorso. Storia realmente vissuta dallo scrittore agli inizi delle sue prime ‘prove tecniche d’amore’ che subito, nell’incipit, ci porta dentro il dubbio dello stesso, facendoci intuire la sua insicurezza e una maledetta fascinazione per quella femmina che lo conturba e lo inquieta al punto da mettere in dubbio la sua stessa natura virile: “Da quando l’avevo conosciuta c’era un acque (24)pensiero che mi perseguitava e che tentavo inutilmente di scacciare: che fosse più maschio lei di me e viceversa io più femmina”.
Una storia insomma che si avvia in una sorta di ribaltamento di ruoli, dove al giovane medico spetta la parte dell’innamorato insicuro e guardingo e alla ragazza quella di una uoma che si intuisce intendere l’amore come qualcosa da prendere, consumare e poi da buttare, questo almeno è il dubbio che attanaglia l’aitante Andrea, che continuamente entra nella riflessione con pensieri ora di incertezza, ora di rabbioso risentimento, ora di mascolina, orgogliosa ribellione.
Soggetto difficile la Vivida. Un animale femmina che non si attiene alle regole di una seduzione osservante, che si comporta secondo istinto, senza domandarsi le possibili conseguenze delle proprie azioni e senza, peccato gravissimo per l’autore, cogliere l’aspetto sentimentale che si nasconde dietro le sue continue ma un po’ impacciate avance. Ma leggendo si scopre ch’è proprio questo aspetto di amoralità a irretire, in una sfida all’ultimo sangue, Vitali che invece appare più vincolato a schemi di comportamento, quelli di un maschio borghese, gradevole e colto, che si sarebbe atteso di incontrare una donna pronta a rispondergli sul suo stesso piano, nell’ambito rassicurante di comprovati ruoli e comportamenti. Vivida invece lo pianta al bar, beve forte, lo attira nella sua dimora che puzza di stallatico (la famiglia ha un’attività vivaistica), se lo gioca a dadi con le subdole strategie di chi sa di essere più forte.
Anche la cifra espressiva che Vitali sceglie pare perfetta per dare al lettore questo senso di compulsione, d’impaccio e di fastidio. Cifra che sbalza di continuo fra una prosa lineare, pulita, alta, talvolta autoironicamente aulica, quando lo scrittore entra in relazione diretta con la protagonista o quando riflette con se stesso per darsi spiegazioni plausibili a un comportamento per lui così mortificante; a una più secca e greve, con un insistito uso del turpiloquio che gli nasce sorgivo da una rabbia figlia della delusione e del dispetto.
Un lungo racconto che riflette, con oggettiva lucidità, sull’eterno gioco della seduzione in cui ognuno di noi esprime proiezioni più che verità.

Una Vivida per tutte le stagioni

acque (11)Le tante facce interiori della Vivida di Giancarlo Vitali si rifanno a un’oggettività biologica coerente.
La sua Vivida è una ragazza mora, snella, dalla fortunata genetica. Ma il maestro la declina non tanto sul piano della mimica facciale piuttosto su quello delle maschere che indossa, in una passerella un po’ pirandelliana. Ed ecco allora una Vivida nei panni di una mite e romantica fanciulla d’altri tempi, in quelli di una donna remissiva, dotata di una sensualità discreta e privata, in quelli di una Carmen tutta passione, in quelli di una stralunata dallo sguardo ciucco e svisato.
L’artista si esprime con schizzi a matita, come prime idee di una donna immaginata dopo la lettura del racconto, poi la rende più sapida, definita, dettagliata, enigmatica, quando si addentra in bellissime tecniche miste che la ritraggono in atteggiamenti ed espressioni diverse ma sempre attorniata dai fiori, immediato riferimento all’attività che lei svolge ma anche, crediamo, allusione che travalica quel senso in uno diverso, simbolico, sotteso, enigmatico che ci parla delle tante anime di una donna, capace di mostrare i toni esuberanti della primavera, quelli più sessualmente dichiarati dell’estate, quelli languidi dell’autunno e infine quelli cupi e sinistri dell’inverno. Come nell’opera di copertina dove Vivida appare con gli occhi freddi di una mantide, con un abito nero da lutto, un casto colletto di trine, le labbra rosse come il sangue, i cappelli raccolti dietro l’occipite, quasi una moderna Clitennestra, còlta nel momento in cui depone un fascio di fiori sulla tomba del consorte ch’è riuscita a eliminare.