La lieta infelicità del Felicino 27 Febbraio 2012 – Posted in: ART, BOOKS

Pro-memoria (Andrea Vitali, Giancarlo Vitali)

Giancarlo Vitali

Il contributo di Leonardo Castellucci a Pro-memoria.

Raccontare una saga familiare attraverso una storia semplice e per questo esemplare. E in questa inserirci annotazioni ed episodi che le permettano di essere letta anche come paradigma del brusco mutamento di un mondo prima e dopo la seconda Guerra Mondiale. Il mondo precedente, ormai epigono di una civiltà agricola agli sgoccioli, che nell’Italia fascista aveva ritrovato motivi di ripresa, favoriti da stimoli populisti osannanti la condizione rurale e quello seguente, portatore di nuovi ruoli, nuovi bisogni, nuove aspettative. In questi 40 anni di italiche vicende Andrea Vitali scova una storia esatta e ce la racconta con una grazia colta, con uno stile lucido e a tratti fatalisticamente intenerito; stile che sembra cambiare il proprio passo narrante fra i due periodi. Si sente chiaro, infatti, uno scatto diverso nella cifra espressiva fra le parti del testo che si svolgono ante e post conflitto: più lenta, accurata nei dettagli, con uno sguardo più interessato alla definizione dei personaggi e ai loro moti dell’animo, la prima; più affrettata, bruciante, con un linguaggio che perde l’indulgenza e l’interesse per gli attori del racconto, quasi fossero diventati anonimi riferimenti di un mondo che va disumanizzandosi, la seconda. Il tempo lento, scandito da un mondo congelato da una secolare abitudine al rispetto di ruoli e consuetudini in quell’Italia contadina o montanara o comunque piccolo borghese che si riferiva ancora a modelli vetusti dentro un organigramma spento, viene sostituito da un tempo affrettato e pieno di energia che si immagina portatore di una nuova ventata di libera consapevolezza e che a tutti invece consegnerà lo stesso spersonalizzante male, quello di una grigia solitudine. I paradigmi di queste due diverse età, seppur così cronologicamente vicine, sono rappresentati dalla madre del protagonista, la Lidovina, esempio di donna sottomessa ma infinitamente aderente alla vita, che sposa su consiglio del padre un veterinario abbiente, pur amando l’Ottaviano (il suo ‘moroso’), che si ammala di tisi e che a causa di ciò è costretta a perdere l’intimità affettiva col figlio, chiudendosi nella propria difficoltà ma poi riuscendo a debellare il male e a ritornare a vivere con quella forza astratta e terragnola di quel mondo antico. E la moglie del figlio, la Bice, la donna nuova, quella che mette sotto frusta il marito, che amplifica la voce dei propri bisogni e desideri, che accetta la sfida dell’esistenza su un piano maschile e vuole e combatte per soddisfare il suo bisogno. Nel mezzo il giovane Felicino, mai felice davvero. Condannato dal destino a star solo sin dalla più tenera età, nonostante che, una volta adulto, la sua onorevole e meritata professione di stimato avvocato gli avesse permesso un matrimonio socialmente stimabile e una clientela adeguata al suo status. Solo, fisicamente fragile come la madre e come lei malinconicamente lieto nel suo sentire sensibile, un po’ passivo e un po’ avulso dalle ‘cose di questo mondo’. Un racconto ch’è quasi resoconto dei comportamenti sociali in un’Italia in divenire ma anche una storia di piccole e grandi meschinità, quelle di noi tutti che viviamo un’apparente libertà imposta dall’incompletezza della nostra condizione umana.

Pro-memoria (Andrea Vitali, Giancarlo Vitali)

Giancarlo Vitali

…e il suo mondo di impronte

E una saga è anche l’antologia pittorica di Giancarlo Vitali. Una saga di impronte di esistenze e di attimi quotidiani còlti dall’occhio e subito riconvertite nel segno, con l’urgenza di fermare sulla carta un attimo apparentemente convenzionale per farne prezioso promemoria di un tempo sentimentalmente implicato. Cronaca dipinta di un quotidiano da ascrivere al crepuscolo di un tempo trascorso. I suoi personaggi, infatti, escono da un passato ch’è quello della Lidovina, che ‘indossa’ i semplici abiti di una donna del popolo mentre prende acqua a una fonte, di suo figlio Felicino, sorpreso e attratto da uno spaventapasseri o intento a osservare il gioco rischioso fra un gatto e un piccolo topo di campagna, del dottor Vinci Piedivico, magari accorso al capezzale di una vacca che rifiuta il cibo, con la sua bici sportiva, che nella pesante sagoma rimanda a quelle su cui gli eroi del tempo scalavano le arcigne salite del Giro d’Italia, e che ha appoggiato al muro della casa del contadino prima di correre al capezzale del ruminante, mentre un bastardino lo accoglie in atteggiamento festoso. È quella vita dimenticata, vissuta dal Silvestro, che si fa ritrarre, affaticato e orgoglioso, a lavorare nei campi in compagnia della sua familiare manovalanza. Un mondo che Giancarlo Vitali schizza con lapis di abile sintesi formale, che esalta con acquerelli di gestuale spontaneità, che approfondisce e dettaglia con tecniche miste che diventano racconti di tante esistenze. Immagini di antenati che continuano sui nostri volti e sui volti di quelli che verranno. È come sfogliare un album trovato dentro il baule di un vecchio crotto diroccato, dove tutto quello che Vitali raffigura sembra aver mantenuto l’ossigeno di un tempo vivo: tempo parco, faticoso, poco esigente, spesso rassegnato, talvolta perfino spiritato, ma forte, concreto e adattato alla vita, perché della stessa conosce la fatica e l’inesorabile natura.