La mostra di Giancarlo Vitali a Casa del Manzoni – Milano 29 Agosto 2017 – Posted in: BOOKS

Sembra che nel Nord Italia ci siano molte persone chiamate Vitali – fotografi, compositori, scrittori, artisti, editori – ma non avevo mai sentito quel cognome in relazione a un solitario e anziano pittore, che vive sul Lago di Como, il cui nome è Giancarlo. Il figlio di Giancarlo, Velasco, a sua volta pittore, mi scrisse per dirmi che suo padre stava per essere celebrato a Milano, dopo anni di silenzio quasi virtuale e probabilmente volontario, il che costituisce un enigma adeguato a un mondo dove tutti sembrano lottare per avere attenzione. Sarei stato curioso di darci un’occhiata?
Avevo parlato di come mi procuri una certa malinconia il fatto che i pittori sembrino non parlare con i registi cinematografici e che i registi apparentemente non parlino con i pittori. E di come si trattasse in qualche modo di un dialogo mancato. Pittori e registi dovrebbero parlarsi nel vero senso della parola, avere numerosi dialoghi, scambiarsi i linguaggi. Dopotutto il loro mestiere è guardare, osservare, e sia gli uni sia gli altri potrebbero trarre profitto da questo scambio. Certamente ne beneficerebbero i registi.
Lo studio di (almeno) ottomila anni di pittura sarebbe un enorme vantaggio per i soli centoventi anni di cinema. La cultura visiva m’incuriosisce. Abbiamo un cinema creato da scrittori, abbiamo un cinema di testo illustrato. Ottomila anni di pittura, e solo centoventi di cinema (dal 1895 a oggi). Non dovrebbero forse essere quegli ottomila anni (almeno) a dare un contributo a quei centoventi
Ho segretamente invidiato l’idea del pittore solitario. Mi piace la citazione di Gandhi: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti attaccano. Poi vinci”. Giancarlo Vitali stranamente aveva vinto. Forse si potrebbe obiettare che lui non avesse desiderato vincere. Dopotutto, aveva scelto di essere un pittore solitario e ora stava per avere una mostra celebrativa a Milano. Tutte queste cose – pittore solitario, Lago di Como, citazione di Gandhi – e forse altre, molte altre, come gli stimoli della museologia, come il desiderio di omaggio di un figlio pittore verso il padre pittore, e come la frase attribuita a Picasso, “la peggior cosa che tu possa fare a un quadro è appenderlo su una parete dove nel giro di un giorno sarà dimenticato”. Il tutto era sufficientemente enigmatico per stimolarmi a realizzare una mostra e invero per stimolarmi a fare il catalogo di quella mostra.
I quadri di Giancarlo mi colpirono. Apparivano cupi, con un che di malinconico, claustrofobici, tristi, dolorosi. Ma contemporaneamente erano anche spiritosi. Erano dipinti in modo veloce e vivace; pittura maneggiata con abilità e sicurezza. Mi piacquero le pennellate e la pittoricità, le gocce e le macchie, i graffi e le strisciate. La vischiosità. Mi ricordarono fortemente i pittori figurativi della mia formazione scolastica alla fine degli anni cinquanta – i pittori della Slade School, Bomberg, Auerbach e Kossoff, che a loro volta si erano formati nell’epoca dell’impressionismo inglese sull’esempio di Sickert, Tonks e Augustus John, artisti la cui reputazione ha raramente viaggiato oltre l’Inghilterra. Il loro erede naturale in Inghilterra sarebbe stato un pittore come Lucian Freud. I quadri di Giancarlo erano anche umili.
Rappresentavano soggetti umili – legati al mondo artigiano – oggetti da usare e non solo da guardare, pesci in padella, tovaglioli, funghi da cucinare, avanzi di frutta da non sprecare, ossuti polli spennati che avrebbero insaporito il brodo della sera, abiti dozzinali lavati e rilavati. Quando i quadri citavano altri artisti, citavano i pittori degli umili, Rembrandt, de la Tour, Soutine. Erano anche affettuosamente critici, quietamente ironici, delicatamente satirici. Caricaturali, ma senza veleno. Ne fui intrigato.
Non ho mai pensato che i quadri, storicamente, siano stati dipinti per essere appesi in modo asettico su pareti bianche in stanze dove nessuno vive, in altre parole nel modo in cui sono generalmente esposti oggi nelle gallerie, sotto luci artificiali, deliberatamente fisse, insieme a stralci di testo che li dovrebbero identificare. I vostri quadri non sono forse appesi sopra la lavatrice, schiacciati contro una parete da vecchi giornali, parzialmente nascosti da una tenda tirata, catturati da chiazze di sole che cambiano continuamente, accompagnati dal rumore della strada e dalle chiacchiere della stanza, animati dai profumi e dagli odori che arrivano dalla cucina? Pensai che location identificate come luoghi di alta cultura non potessero andare d’accordo con i quadri di Giancarlo Vitali.
Cercammo a Milano un posto dove allestire la mostra. Mi sentii demotivato e piuttosto disinteressato finché non entrammo nella Casa del Manzoni. Una casa dagli architravi delle porte rovinate e dalla luce fioca, con carta da parati scura, parquet logori, specchi graffiati e un quieto garbo. La casa era stata nobilitata a solenne museo. Ma qualcosa potevamo fare: potevamo de-nobilitarla. Potevamo ridarle intimità. Potevamo creare una casa in temporanea sintonia con la pittura di Giancarlo Vitali. Potevamo valutare come trasformarla in un ambiente che avesse qualcosa da dire ai contenuti della sua pittura.
Dove i quadri non ti gridassero contro. Dove i quadri rispettassero la reticenza dell’autore, il suo desiderio di essere umile e appartato. E scoprii che Manzoni e Giancarlo Vitali arrivavano entrambi dal Lago di Como.
Quando si gira un film, l’ambiente architettonico è strumentale al sostegno della storia che si svolge al suo interno. E quell’ambiente architettonico è composto da elementi casuali frutto del tempo, degli odori, dell’atmosfera, dell’uso e del modo in cui i suoi abitanti lo hanno adattato alle loro esigenze. In un edificio e in uno spazio vissuto sono accumulati materiali ed elementi difficilmente previsti dai loro architetti e costruttori che anzi li avrebbero persino potuto giudicare come ostici e dannosi. Un’ingegnosa scenografia cinematografica può essere molto raffinata e può talvolta sperare di riprodurre questo stratificato genius loci, ma l’oggetto reale è sempre sorprendente e piacevole a causa della sua natura casuale, della sua individualità spesso eccentrica e della sua peculiarità imprevedibile. Ero curioso di verificare se, ispirata dai quadri di Giancarlo Vitali e guidata da ciò che avevo percepito essere la loro atmosfera e il loro ambiente, quella particolare identità potesse essere rievocata. Abbiamo pertanto proposto, negli spazi che ci sono stati concessi, oggetti divisi in tre categorie: per prima la storia naturale che si può scoprire intorno al Lago di Como, poi il calore domestico e familiare soprattutto attraverso abiti che abbiamo indossato negli ultimi anni del ventesimo secolo, e infine l’ambiente di un modesto ospedale dove Giancarlo Vitali si è recentemente ritrovato a confrontarsi con la propria mortalità. Sebbene ciò non significhi che questo confronto non ci fosse già stato. I quadri non appartengono a un altro mondo, sono di questo mondo. E dovremmo esserne felici. Sono tutte prove che ci aiutano a guardare e a vedere. E a vivere.

Peter Greenaway
pubblicato su Mortality Vitali