Witness, di Velasco Vitali 31 Maggio 2016 – Posted in: ART, BOOKS

Il contributo del curatore Velasco Vitali
dal catalogo della mostra di Giancarlo Vitali
Circo_stanze. How things come together.

 

WITNESS

Circo_Stanze_Cat_Pag.16.17Per consuetudine familiare a pranzo siedo sempre allo stesso posto. Sulla parete di fronte a me c’è sempre lo stesso dipinto: una natura morta con fondo scuro. Mio padre mi assicura che è opera sua, a me resta il dubbio di cosa rappresenti. Nonostante le sue spiegazioni, mi rifiuto di credere che quella sia una zucca. Ma forse sono troppo piccolo per capire.
Non è possibile che una caffettiera si appoggi su una mezza-luna color arancio, o forse è sfondata! Se fosse realmente una zucca non potrebbe stare sospesa nel vuoto e nemmeno infilarsi nella caffettiera. Ma quella è la vera caffettiera o l’ombra di quella bianca che vedo dietro?
“Sì, ma la pittura non è la realtà !”dice lui.
Vallo a raccontare a un bambino!
Anni dopo, per uno strampalato paradosso, molti estensori della sua arte lo definiranno “pittore della realtà”?

Dopo cinquant’anni da quell’episodio e per nuove circostanze, mi ritrovo curatore di questa sua mostra.
La sensazione è di essere ancora seduto a pranzo: mio padre ottantaseienne siede allo stesso posto, solo il quadro alla parete è cambiato. Ora lo so comprendere: rappresenta un pollo addormentato. Nelle vesti di indipendent curator, posso affermare che è anche qualcosa di diverso.
Per me la cucina e la pittura “di casa” sono sempre state la stessa cosa, anche se, confesso, la prima non l’ho mai davvero capita. Ma la tavola apparecchiata di famiglia resta il punto dal quale partire per tentare un’analisi sulla pittura di Giancarlo Vitali. In fondo per me è stato anche il punto d’osservazione privilegiato per guardarla, ammirarla e, come direbbe qualche sapiente amico cuoco siciliano, “impararla” da una mano esperta. Come dire: pratica culinaria anziché accademica.
La prima sala di questa mostra me la sono immaginata restando seduto, come se rispondessi a un invito al desco della pittura, con davanti una grande tavola apparecchiata, intesa come banchetto o come pretesto per una vasta natura morta contemporanea dove poter consumare leccornie di pennellate e annusare i profumi di una cucina ricca e al contempo frugale: pigmento e olio di lino.
Una volta Lucien Freud varcò la soglia del Grand Palais per presentare i suoi Constable preferiti. Stupì che all’appello di quella mostra mancassero le tempeste per le quali il grande pittore romantico era famoso. Freud sentì la necessità invece di svelare l’anima segreta e meno nota del suo predecessore e al contempo, quasi segretamente, attraverso i suoi ritratti più goffi e le cortecce degli alberi, dimostrare quante vie corrusche si nascondessero in quelle foreste che hanno influenzato tanta pittura moderna, prima fra tutte forse quella nelle pieghe delle sue carni. Oggi non mi permetterò tanto, nessun disvelamento, giusto per rischiare un veganesimo della pittura e restare allineato con i tempi a favore della crisi delle macellerie, in questa mostra niente carni ma fiori. Questa è la seconda sala: a cominciare da una violetta che per quel che ne capisco contiene tutto il mondo. Dilatandola, disvela tutta la pittura di Vitali: appaiono i ritratti. Sezionandola, contiene tutta la sua tavolozza. Scomponendola, lascia intravvedere i temi e le testimonianze dei suoi volti. Un mondo che si sdoppia e si specchia (nell’ultima sala). Che tramuta il nero in colore, da cenere a petrolio (nella terza) e poi ancora macchie – come fiori – qua e là, mai a caso. Ogni pennellata è il contrario della precedente ed è un ossimoro per la successiva. Una passeggiata tra la cromia dei ricordi e un buio che non ha tempo, forse solo pause. I personaggi passano di lì per rianimarsi, direi quasi ‘per darsi una spennellata’.
Ma la pittura non è la realtà. Forse è un circo per le tante sfaccettature cromatiche, o per le invenzioni, per le infinite capriole e risate, per l’entrata degli elefanti e di tutti gli animali… ecco! Certo: un circo diviso in stanze.

“The artist’s job is to be a witness to his time in history”:
il lavoro dell’artista è di essere un testimone per il suo tempo nella storia. Vale per Giancarlo Vitali come per Rauschenberg che l’ha detto, anche se niente li accomuna, tranne il volto di una capra che entrambi hanno eletto come proprio testimone nella storia, già dentro la scena, ridicola e ricca di colore (da sola meriterebbe una stanza che qui purtroppo manca).