La memoria del gusto 21 Aprile 2015 – Posted in: FOOD

La prefazione di Antonio Bozzo al libro La memoria del gusto di Laura Bolgeri.

Facciamo finta di avere una bacchetta magica, o molta fantasia, e immaginiamo una grande tavolata di una cinquantina di persone, anzi di una cinquantina di personaggi. Non teniamo conto degli inganni del tempo: alla nostra tavola gigante saranno seduti uomini che mai hanno mangiato insieme, ce ne saranno addirittura alcuni che questa vita di gioie e dolori l’hanno già lasciata. Non importa, all’immaginazione la realtà fa un baffo. Eccoli tutti seduti, con lo sguardo felice: ognuno sta per assaporare il suo piatto della memoria, il cibo che ha lasciato dentro lo spirito un calco, un gusto che a ricordarlo, a riportarlo alla bocca, riaccende una storia personale, per tutti unica anche se qualche volta tipica di un periodo storico e di una parte d’Italia. A compiere l’artificio, nelle pagine di questo libro, è Laura Bolgeri, che come regista Rai ha firmato molti servizi e documentari e ha collaborato con periodici vari raccogliendo nel tempo una cinquantina di interviste con personaggi che vanno da Federico Fellini a Giorgio Strehler, da Pupi Avati ad Ascanio Celestini, da Omar Sharif a Dario Fo, da Silvio Orlando a Renzo Arbore.
Uomini di cinema, teatro e televisione; poi filosofi (come Remo Bodei, Umberto Galimberti, Salvatore Veca), artisti (Mimmo Palladino), scrittori (Claudio Magris, Maurizio Maggiani, Sebastiano Vassalli), storici (Massimo Montanari), architetti (Renzo Piano), musicisti (Mario Brunello, Claudio Scimone) e anche Maestri che hanno rivoluzionato la cucina (Gualtiero Marchesi e Ferran Adrià).
Ma non andiamo avanti con una sterile lista di nomi: immaginiamo, trasportati dalla curiosità dei testi, che questi commensali stiano davvero mangiando assieme. Edoardo Boncinelli lo vediamo estasiato davanti a un piatto di cardi gobbi in umido accompagnati dalla poppa (mammella della mucca) tagliata a strisce e fritta: frattaglie e una meraviglia vegetale, la Toscana autentica che nutrì corpo e pensieri di un grande genetista. Là in fondo al tavolo, presi in una conversazione sul cibo (noi italiani parliamo di piatti e ricette, mentre mangiamo, forse gli unici al mondo che replicano a voce i piaceri della mensa), il professor Giulio Giorello, epistemologo appassionato di Topolino e di birra irlandese, scambia pareri con il filosofo Salvatore Natoli. Giorello vanta la bontà rievocativa delle zollette di zucchero con una goccia di cognac: gliele propinava sulle colline del Savonese un’avarissima zia, quando da ragazzo andava a trovarla con la famiglia, durante l’estate. Natoli controbatte con le virtù del pane caldissimo, così caldo da scottare le mani, che usciva dal forno dello zio Calogero, in Sicilia, e che il futuro studioso cospargeva di olio e origano, per divorarlo dopo un bagno nel mare della Magna Grecia. Ma ecco, indisciplinato,
tra i commensali si aggira Gualtiero Marchesi: ha lasciato la sua sedia per curiosare nel piatto degli altri. Marchesi può permetterselo, e tutti sono contenti di far vedere che cosa hanno davanti: come Magris, che intrattiene il Maestro sul boreto, zuppa di pesce accompagnata da polenta bianca, rustica specialità della laguna di Grado. E a ogni commensale, il gran Gualtiero parla con fervore del suo cibo della memoria, al quale lo indirizzò Gianni Brera: il riso in cagnone, con due filetti di pesce persico. E a chi lo ascolta, pare di vedere nebbie e acque fumiganti di fiume, i vapori del padre Po. Tutti i piatti ricordati dai personaggi sono una lanterna magica per illuminare una città, una campagna, monti e marine: quel che oggi si chiama ‘territorio’, con termine un po’ troppo abusato e preso in prestito dal francese. Nelle interviste scorre, come in un film, tutta l’Italia, da nord a sud, dalla Trieste generosa di zuppa con crauti, fagioli e patate (la jota) dello scrittore giramondo Paolo Rumiz, alla Sicilia del fotografo Ferdinando Scianna, goloso di mafalde e panelle nella sua Bagheria. Ma a tavola, in questa tavolona da una cinquantina di persone, ci sono anche sapori esotici: il pane azzimo del regista iraniano Abbas Kiarostami, mangiato nei campi di grano nella periferia di Teheran, e le melanzane schiacciate, il sesamo che le insaporiva, e l’insalata di limoni dell’egiziano Omar Sharif.
Ma le donne? Dove sono le donne? Laura Bolgeri ha fatto parlare soltanto gli uomini, per scelta. Forse perché le donne sono fuori classifica, sono esse stesse a ‘creare’ il primo sapore fondamentale degli umani, quello del latte con il quale nutrono i figli. Infatti, nessuna donna in questo libro si racconta, ma dietro le donne ci sono eccome: madri, nonne, nutrici presenti in ogni storia.

Antonio Bozzo