Un tempo mi voleva Bene 15 Dicembre 2011 – Posted in: Archivio

È il suo sorriso, le parole che scrive, le idee di marketing che genera tra una riunione di amministrazione e una cena con amici chef blasonati, ad aver dato corpo e anima alla comunicazione d’azienda degli ultimi anni. È il suo rigoroso senso di dignità, quello trasmesso da nonna Agnese Rossetti – femminista ante litteram e giornalista acuta – una vivace immaginazione ereditata dal padre e una nascosta attitudine a stare sulla scena – ambizione sopita ma non dimenticata – che rendono Carla Latini una donna “fatta di ottima pasta”.

Carla Calabrò Latini nasce a Cagliari, ma per caso. Sua madre di Pescara e suo padre d’origine calabrese, arrivarono in Sardegna per il lavoro di papà, ingegnere, impiegato nelle bonifiche sull’isola. Carla cresce in terra sarda e nei suoi modi diretti, decisi, dignitosi se ne riscontrano le influenze. Nel capoluogo sardo c’è rimasta i suoi primi otto anni poi è arrivata a Roma, sempre seguendo il lavoro di papà, ma per mamma la capitale era ostica e si trasferirono ad Ancona. Fa lo scientifico con bravura, frequenta Matematica all’Università di Camerino, poi Ingegneria ad Ancona. Girovaga, nel dna, ha però trovato nelle Marche la sua storia d’amore. Ed è partita per un altro viaggio. Con Carlo Latini. Dell’azienda Pasta Latini lei è la “front-women” nella buona e cattiva sorte. «Nel 2008 abbiamo reciso il cordone ombelicale con Illy, nostro partner, un’azienda straordinaria alla quale siamo grati, ma abbiamo deciso di camminare da soli. Ci siamo uniti in uno sforzo di dignità estrema: devi essere te, sempre. Economicamente è stato difficilissimo: siamo stati sull’orlo del fallimento. Io, in primis, ho tenuto testa e sono serena nel raccontare che ho fatto degli errori, ma sono fiera. Quando sei a cena e ti staccano la luce devi fare buon viso. Bisogna cambiare e reinventarsi: abbiamo fatto cene fredde a lume di candela. Nonna Agnese diceva che in casa come fuori bisogna essere sempre in ordine, pronti ad incontrare il principe azzurro, anche se sai che non esiste, anche se sei in disordine dentro. La dignità è fondamentale, specie in periodi di totali incertezze, come quello che stiamo vivendo. Sacrifici fatti, poi le cose cambiano, si rimettono in moto. Oggi in azienda, per esempio, nascono nuovi prodotti, come la birra di mia figlia. E gli amici veri sono sempre vicini a me. Sono una donna contenta».
E il suo volto luminoso è lì a testimoniarlo. Anche se un rimpianto grande ce l’ha.
«A 19 anni dirigevo Radio Conero. Ero bravina, facevo anche interviste. È così che conobbi Carmelo Bene, quando recitava la Divina Commedia. All’epoca facevo anche teatro con Saverio Vallone, il figlio di Raf. Amavo l’arte di Carmelo e lui, alla fine della nostra intervista, mi disse: “vieni a Roma, ti provo”. Stava mettendo in scena Pinocchio. Mi accordai, Raf Vallone mi avrebbe ospitato nella capitale tentacolare… Mamma però era preoccupata: pensava che sarei diventata la valletta di Baudo. Mi restava nonna Agnese. Se solo lei avesse detto si, sarei andata da Bene. Invece anche nonna disapprovò. E io avevo anche un fidanzato che non voleva. Chiamai la segretaria di Bene, rinunciai e lasciai il fidanzato. Poco dopo il destino mi presentò Carlo. Con lui andammo a vedere il Macbeth di Bene al Quirino. Alla fine dello spettacolo andai a trovarlo: mi riconobbe e io gli promisi che il primo figlio maschio lo avrei chiamato come lui». Suo figlio si chiama Michele Carmelo, «Michele perché ho sognato mio figlio prima che nascesse, che si presentava e diceva “io sono Michele”. Carmelo per Carmelo. E poi è anche il nome del bisnonno di Michele. Così ho fatto strike!»

I tempi in cui la voleva Bene sono lontani, ma Carla non ha mai tradito il suo amore per l’arte. Per lungo tempo ha curato Ancona Estate (gemellina di Roma Estate); Muller ha invitato l’azienda come sponsor tecnico al Festival del Cinema di Venezia; da 10 anni Latini sponsorizza l’Arena del Sole di Bologna, dove organizza anche il dopo teatro con gli chef. «In queste occasioni cerco di esserci sempre. Insomma in e nel teatro quando posso mi ci ficco e ritrovo la mia parte “che fu”, e magari dico anche qualche battuta con gli attori sul palco». Una passione mai sedata, ma neppure mai svelata. Nemmeno a Teresa e Michele i suoi figli. «Gliel’ho nascosto…chissà perché».